Bambino con epatite: possibile trapianto di fegato

Il bambino di Prato di 3 anni ricoverato da ieri all’ospedale Bambino Gesù di Roma è stato ritenuto “candidabile al trapianto di fegato” vista la gravità della forma acuta che lo ha colpito. Ha parlato anche il primario dell’ospedale Santo Stefano che mercoledì sera ha preso in cura il bambino.

L’ospedale sta rieseguendo tutte le analisi, già realizzate nei ricoveri precedenti in Toscana, per cercare di comprendere la natura dell’infezione che rimane ancora sconosciuta. Il bambino è ricoverato in rianimazione. Alcuni casi di epatiti acute di origine non conosciuta vengono ogni anno registrati nella misura di poche unità. La verifica ora è per capire quanto questi episodi siano ora frequenti e se possano essere riconducibili a quanto sta accadendo nel resto d’Europa

“Il bambino è arrivato con una crisi respiratoria e dolore all’addome: è stato ricoverato la sera di mercoledì ed è peggiorato in modo improvviso il giovedì mattina. Non aveva sintomi riconducibili all’epatite. È dalle analisi al fegato che che si è poi capito che poteva trattarsi di un caso sospetto di epatite acuta pediatrica”. Lo ha spiegato Pier Luigi Vasarri, il primario di pediatria dell’ospedale Santo Stefano di Prato che ha avuto in cura il bambino poi trasferito al meyer e quindi a Roma al Bambin gesù. Il piccolo, di origine straniera, ha tre anni e vive a Prato con la famiglia. Tra gli accertamenti anche quelli per il Covid: il piccolo è risultato negativo ma aveva gli anticorpi alti. Non avendo fatto il vaccino i medici hanno dedotto che possa aver contratto il virus in precedenza.

“Una mia collaboratrice – ha aggiunto Vasarri – aveva trovato segnalazioni di questa strana epatite, da lì è stato un filone che abbiamo provato a seguire. Nonostante i problemi del bambino fossero respiratori gli indici di citolisi erano di trenta o quaranta volte superiori al valore normale. Abbiamo completato la valutazione riscontrando uno scompenso metabolico che stava progredendo senza che ci fosse una causa precisa. Per fortuna poi il trasferimento del paziente è stato molto veloce”, ha concluso Vassarri.

“Il caso che vede coinvolto un bambino toscano è stato prontamente valutato dall’ospedale di Prato che ha trasferito il bambino nei tempi congrui al Meyer, centro di riferimento regionale per l’epatologia, il quale ha preso subito in cura il bambino stabilizzandone le condizioni e prendendo contatto diretto con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, autorizzato al trapianto di fegato nei minori. Sono in corso tutti i necessari accertamenti e approfondimenti”. Questo è quanto detto dall’assessore regionale al diritto alla salute, Simone Bezzini.

“Ringrazio l’ospedale di Prato, il Meyer e gli operatori che con grande competenza ed umanità stanno curando il bambino – ha aggiunto Bezzini – per l’epatologia il Meyer a livello europeo, con il prof. Indolfi, è riferimento anche per l’Oms. Questo caso dimostra come l’esistenza di una rete pediatrica regionale, coordinata dal Meyer, garantisca anche in casi gravi come questo il corretto percorso clinico, insieme all’efficacia e all’appropriatezza delle cure erogate”.

 

🎧 Videochiamate in reparti Covid: un aiuto per pazienti, famiglie e infermieri

Le videochiamate dai reparti Covid sono parte del processo di assistenza e cura. Le infermiere Giulia ed Elena del santo Stefano di Prato raccontano la loro esperienza: ci mettiamo tutto il cuore per dare coraggio agli altri. Padre e figlia si sono scambiati l’ultimo saluto. Interviste a cura di Chiara Brilli.

Abbracci e carezze attraverso gli schermi di tablet e smartphone. Un aiuto importante per pazienti e familiari per comunicare e combattere la solitudine. Ogni giorno gli infermieri dei settori Covid del Santo Stefano, insieme agli operatori socio sanitari mettono in contatto con una videochiamata i ricoverati con i loro cari nel rispetto della loro volontà e sulla base delle condizioni cliniche. Sono a disposizione due tablet donati dal Centro diritti del malato, strumenti che permettono il contatto visivo e vocale per dare sollievo, combattere la paura e diminuire il disagio del distacco dai propri affetti.

Nei reparti Covid non ci sono orari per le visite dei parenti, i malati sono soli senza un contatto con il mondo esterno. La modalità della videochiamata giornaliera per la comunicazione tra pazienti e familiari ha preso avvio in uno dei settori Covid dell’ospedale, estesa poi negli altri setting ed inserita nel piano di lavoro assistenziale come parte del processo di cura.

Sono tante le esperienze di medici ed infermieri che ogni giorno lavorano nei settori Covid ed affrontano con coraggio e passione situazioni difficili. Storie di dolore e di solitudine ma anche di speranza. Elena, giovane infermiera dell’ospedale pratese, lavora da oltre un anno nell’area Covid. Ha dovuto affrontare tante sfide, come gli altri suoi colleghi; cambiare comportamenti e pratiche nel lavoro quotidiano che hanno richiesto di indossare mascherine, guanti, calzari e tute per proteggersi dal contagio.

Il lavoro in reparto – racconta Elena – è cambiato, sicuramente incrementato ma una delle sfide importanti è stata proprio la gestione del paziente sul piano emotivo. Ci sono stati tanti momenti bui e dolorosi, ma tutti noi li abbiamo affrontati aiutandoci attraverso l’unione e la coesione del team, mettendoci sempre il cuore e la passione.”

Durante le videochiamate Elena e Giulia sono state testimoni di tanti momenti toccanti, episodi dolorosi che hanno messo a dura prova le loro emozioni. Mentre Giulia li racconta si commuove, gli occhi si riempiono di lacrime e la voce si rompe.   “Potrei raccontare tante storie- dice Giulia tutte per me commoventi. Nei giorni scorsi siamo riusciti a mettere in collegamento la figlia con il padre ricoverato. E’ stato l’ultimo incontro per loro, un ultimo saluto che si sono potuti scambiare. Purtroppo le condizioni cliniche del padre si sono aggravate e non ce l’ha fatta. Siamo confortati per essere riusciti a concedere un momento di intimità e questo ci spinge ad andare avanti.

Rosa è la coordinatrice infermieristica del Settore 2 dell’area Covid. In questa terza ondata della pandemia ci sono tanti giovani ricoverati. Nel suo reparto ci sono 50 pazienti e circa la metà necessita di ventilazione assistita non invasiva. “Adesso, dice Rosa, siamo stanchi fisicamente e psicologicamente ma non abbiamo mai perso la forza per aiutare i nostri pazienti e dargli coraggio nel combattere la malattia. Ci sono famiglie intere ricoverate e quando è possibile ci adoperiamo per riunirle.”

Il team infermieristico coordinato da Rosa ha organizzato, attraverso un percorso in sicurezza, la visita di un paziente Covid alla moglie ricoverata in un altro settore Covid per condizioni cliniche peggiori.

Assistere al loro abbraccio, dice Rosa, è stato un momento che non scorderò mai. Sono immagini che resteranno sempre nella mia mente e nel mio cuore.” L’emozione prende il sopravvento e anche Rosa si commuove, tanto da non trattenere le lacrime. Sono tante le sensazioni e le emozioni che infermieri ed operatori sanitari si trovano giornalmente a vivere durante questi incontri che avvicinano ai parenti. Il ricovero nei settori Covid è difficile e delicato. I pazienti hanno paura, sono preoccupati per la loro condizione e non hanno la possibilità di sentire una voce familiare. La tecnologia aiuta ad avvicinare e l’appuntamento della videochiamata giornaliera diventa un momento per far rivivere la quotidianità e per scambiarsi un saluto.

“Un modo per strappare un sorriso, ridurre il disagio del distacco e infondere coraggio, aggiunge Rosa. I pazienti ci ringraziano sempre ad ogni collegamento e noi facciamo di tutto per garantire questi incontri “virtuali” e quando è possibile cerchiamo di riunire nella stessa camera di degenza componenti di una stessa famiglia”.

Studio del Santo Stefano su polmonite da Coronavirus, sul Journal of Infection

Prato, il Jornal of Infection, prestigiosa rivista scientifica internazionale, ha pubblicato nei mesi scorsi lo studio condotto all’ospedale Santo Stefano per la valutazione dell’efficacia di una nuova terapia su pazienti con polmonite da Coronavirus.

Si è trattato di un primo studio preliminare, condotto su un campione di 12 pazienti, che ha mostrato risultati incoraggianti. L’indagine è stata effettuata sulla base di un protocollo di studio retrospettivo, proposto e messo a punto dal professor Fabrizio Cantini, direttore della struttura complessa di Reumatologia dell’Ospedale di Prato, a seguito dell’utilizzo “off-label” di un farmaco impiegato con successo in pratica clinica per l’artrite reumatoide, il baricitinib.

Cantini, nella fase di ideazione e di predisposizione del protocollo di studio, che ha ricevuto l’approvazione del Comitato Etico, si è confrontato con la professoressa Delia Goletti dell’Istituto Spallanzani di Roma e con il professor Anthony Fauci del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, USA.

La pandemia da COVID-19 ha già determinato oltre 31 milioni e 600.000 casi di contagio nel mondo con oltre 970.000 decessi. Il virus infetta l’organismo, in particolare le vie aeree ed è responsabile di una severa polmonite che spesso conduce a morte. L’azione dannosa più importante prodotta dal virus è quella di stimolare le cellule del sistema immunitario alla produzione di una consistente quantità di sostanze ad azione infiammatoria, le cosiddette citochine, responsabili della evoluzione drammatica della patologia (tempesta citochinica). Fino al mese di aprile u.s. non vi erano farmaci anti-virali specifici per contrastare il COVID-19 e quelli fino ad allora impiegati non avevano dimostrato l’efficacia attesa.

Il punto di partenza dello studio per l’esame degli esiti clinici del trattamento con baricitinib è stato il presupposto per cui la terapia ottimale deve agire sulla riproduzione del virus e sulla liberazione delle citochine pro-infiammatorie.

Il baricitibib ha una duplice azione: impedisce la liberazione delle citochine e blocca l’ingresso del virus nelle cellule polmonari.

Il farmaco era stato somministrato a pazienti ricoverati con polmonite da Covid-19 con l’obiettivo di impedire l’aggravamento della polmonite e la conseguente necessità di trasferimento dei pazienti in terapia intensiva.

Lo studio ha evidenziato che all’ospedale di Prato i 12 pazienti trattati hanno risposto molto bene alla terapia, migliorando costantemente fino alla guarigione. Nessuno dei pazienti è stato trasferito in terapia intensiva.

Considerando i risultati emersi in questo primo studio preliminare, l’indagine retrospettiva è stata estesa ad altri ospedali dell’Azienda Sanitaria, San Jacopo di Pistoia e Santa Maria Nuova di Firenze e gli ospedali di Alessandria, Fano, Pesaro e Ariano Irpino, che avevano utilizzato il baricitinib in casistiche analoghe.

Sono state quindi valutate retroattivamente le terapie somministrate a 113 pazienti per due settimane consecutive: 88 sono stati dimessi con guarigione, 24 hanno mostrato miglioramenti e sono stati dimessi successivamente. Solo per un paziente è stato necessario il ricorso in terapia intensiva, dalla quale è stato trasferito dopo due giorni nella normale degenza ed è stato dimesso dopo altri 10 giorni di terapia. Non ci sono stati decessi.

Questi risultati sono stati recentemente confermati dallo studio controllato americano ACTT-2 promosso dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), diretto dal Prof. Anthony Fauci. Lo studio ha coinvolto 1033 pazienti con polmonite da coronavirus e confrontato l’efficacia di baricitinib somministrato in associazione a remdesivir (unico farmaco antivirale che ha dimostrato una qualche efficacia nella polmonite da coronavirus) rispetto al gruppo di pazienti di controllo che assumevano il solo remdesivir.

La terapia con baricitinib ha permesso di raggiungere l’obiettivo primario dello studio che consisteva nell’accorciare i tempi di guarigione

Cantini, nel ringraziare i colleghi dell’area medica e di malattie infettive del Santo Stefano e degli altri ospedali coinvolti nello svolgimento degli studi, ha espresso parole di particolare orgoglio nell’apprendere i risultati dello studio americano che è stato condotto prendendo come base quelli ottenuti a Prato confermandone gli esiti.

“Resta la soddisfazione, che questo importante approccio terapeutico sia stato di grande aiuto per i pazienti – ha commentato- e che l’Azienda USL Toscana centro e l’ospedale di Prato siano stati precursori di una terapia che ha dato risultati tali da generare orgoglio e prestigio”

NuovoCoronavirus: test negativo per neonata ancora ricoverata al Santo Stefano di Prato

Per la seconda volta l’Asl ha applicato la procedura di emergenza per la gestione del caso in tempi rapidi ed efficaci. E’ accaduto ieri sera a Prato: una famiglia, rientrata da 9 giorni dalla città di Wuhan, la zona in cui ha avuto origine il Nuovo Coronavirus, si è recata al pronto soccorso dell’Ospedale Santo Stefano preoccupata per la salute della loro piccola di nove mesi.

La neonata accusava alcuni sintomi, tra cui febbre alta, che rientrano nei criteri clinici di soggetto a rischio contagio oltre ad essere positiva al criterio epidemiologico. E’ stata immediatamente presa in carico dal personale sanitario in pronto soccorso ed attivato il percorso di gestione per caso sospetto di infezione da NuovoCoronavirus che prevede il ricovero in isolamento in attesa del riscontro diagnostico.  Il campione biologico è stato inviato al Policlinico di Siena e in poche ore è arrivato il risultato negativo. La piccola è ancora oggi ricoverata in ospedale con sintomi febbrili, ma non si trova più in isolamento.

E’ la seconda volta che l’Asl ha applicato con successo la procedura di emergenza per la gestione di un caso sospetto. Il primo caso è accaduto la settimana scorsa per una donna di 59 anni di nazionalità italiana residente a Prato che ha soggiornato nell’hotel di Roma dove è stata ospite la coppia di cinesi ricoverati all’Ospedale Spallanzani e risultati positivi al Nuovocoronavirus. Anche il questo caso il test ha dato esito negativo.

Per l’azienda sanitaria è positivo il fatto che per la prima volta, da quando è scattata l’emergenza, una famiglia di nazionalità cinese si sia rivolta volontariamente al servizio sanitario, anche se la procedura corretta prevede che il primo contatto sia con la centrale operativa 118.

“E’ importante ricordare a tutti i soggetti che rientrano nel criterio epidemiologico e con presenza di un quadro clinico a rischio di contattare il 118 e non recarsi direttamente in pronto soccorso – spiega Renzo Berti, direttore Dipartimento Prevenzione-  La centrale operativa  prenderà in carico la segnalazione ed attiverà i percorsi necessari all’assistenza e alla verifica diagnostica”

“Ringraziamo tutto il personale sanitario coinvolto per la grande professionalità ed efficienza dimostrata nella gestione del caso–afferma Daniela Matarrese, direttore del Santo Stefano. “

Il 10 febbraio si celebra la Giornata Mondiale per l’epilessia

A febbraio si celebra la Giornata Mondiale per l’epilessia, una delle malattie neurologiche più diffuse al mondo. Quasi 1 italiano su 100 ne è affetto, per un totale di circa 500.000 persone in Italia, di cui circa 35.000 in Toscana.

La Giornata è un momento in cui si promuove una corretta informazione e si sensibilizza l’opinione pubblica riguardo alla malattia; la necessità di una maggiore consapevolezza e conoscenza da parte della popolazione è evidenziata dalle numerose testimonianze di persone affette, che spesso sono vittime di discriminazioni sociali legate a pregiudizi e ignoranza.

La Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE), società scientifica che riunisce circa 1000 epilettologi, ha come obiettivo statutario quello di “contribuire al miglioramento della diagnosi, terapia, assistenza, ricerca, nell’ambito dell’epilessia, nonché al superamento dello stigma sociale a tale patologia correlato, promuovendo e attuando ogni utile iniziativa per il conseguimento di tali finalità”.

La Neurologia dell’Ospedale Santo Stefano di Prato ed i suoi medici LICE parteciperanno come ogni anno all’iniziativa. Nella giornata di domani, infatti, presso gli ambulatori della Neurologia, diretta dal Dott.Pasquale Palumbo il personale infermieristico e la Dott.ssa Eleonora Rosati consigliere regionale LICE per la Toscana insieme agli altri medici dedicati alla cura dell’epilessia (dott. E.Bartolini, dott. L.Kiferle e dott.ssa S.Pradella) saranno a disposizione di pazienti e cittadini per colloqui informativi e distribuzione di materiale informativo. La sede dell’iniziativa è il poliambulatorio al piano terra nella sezione della Neurologica presso l’Ospedale Santo Stefano dalle ore 13,30 alle ore 16,00.

Coronavirus: negativo test su donna Prato che aveva febbre

Negativo, a Prato, il test pr il coronavirus su una donna di 59 anni, italiana, residente a Prato che ha soggiornato nell’hotel di Roma dove era ospite la coppia di cinesi che ha contratto la patologia e che è in cura nella Capitale.

La donna pratese, riferisce la Asl, oggi ha effettuato il test, che è risultato negativo. La 59enne ieri ha presentato una sintomatologia febbrile ed il medico cui si è rivolta ha contattato la struttura di Igiene e sanità pubblica di Prato per la segnalazione.

Nella vicenda, spiega ancora la Usl Toscana Centro, è stata allertata la centrale operativa 118 che l’ha fatta portare all’ospedale cittadino Santo Stefano. Nel percorso sono state messe in atto tutte le misure di sicurezza previste. La paziente è arrivata nel reparto di malattie infettive dove sono stati applicati i protocolli ed effettuato i test previsti per la rilevazione della positività al Coronavirus, inviati immediatamente all’ospedale Le Scotte di Siena. Il test è risultato negativo. La paziente, informa la Asl, è ricoverata nel reparto di malattie infettive dell’ospedale, in buone condizioni generali.

“Ringraziamo tutto il personale sanitario coinvolto – sottolineano Renzo Berti, direttore del Dipartimento di Prevenzione della Asl e Daniela Matarrese, direttore dell’ospedale Santo Stefano di Prato -. Tutti hanno dimostrato grande professionalità ed un elevato grado di efficienza”.

Exit mobile version