Oggi finisce  la prima Repubblica

Le elezioni politiche ci stanno consegnando un quadro molto chiaro che fotografa esattamente le condizioni e gli umori del Paese.

E questo è uno dei meriti di una legge elettorale tanto bistrattata quanto appropriata al momento storico che stiamo vivendo: coprire con la coperta corta di una supposta governabilità un risultato talmente eclatante sarebbe stato un pessimo affare per la democrazia. Quindi viva il Rosatellum che impone considerazioni serie.

Per prima cosa dobbiamo dire con chiarezza che questo voto segna definitivamente il tramonto della Prima Repubblica: mai prima d’ora infatti era successo che la maggioranza assoluta dei voti fosse nelle mani di due compagini (movimenti? partiti?) che non sono né il lascito né l’emanazione delle forze politiche uscite dalla Resistenza. Questo significa che siamo entrati  definitivamente in una nuova fase della Repubblica e della Democrazia nel nostro Paese;   in cui, non a caso,  i contorni tra destra e sinistra appaiono quanto mai confusi ed incerti.

La seconda considerazione infatti è che siamo di fronte ad un crollo di quella che possiamo definire la ‘sinistra storica’. Il PD non arriva al 19 per cento, Leu scavalla di poco il 3 e Potere al Popolo si ferma sotto l’1 e mezzo. Gli altri meglio stendere un velo pietoso. Se  sinistra,  insomma, significa  rappresentare  storicamente  le istanze dei ceti popolari , dobbiamo arrivare al paradosso che oggi ‘ a  sinistra c’è sostanzialmente la destra. O meglio la Lega più il Cinquestelle. Un paradosso, ci mancherebbe, ma che i voti espressi rendono palese. Anche perchè non si può nemmeno ricorrere all’alibi dell’astensione e alla retorica del  serbatoio di voti inespressi, pronti a rientrare nell’alveo della sinistra storica. Quell’alveo o non c’è o è secco.

Vincono i partiti nazionalisti, che chiedono non solo un cambio di rotta deciso all’Europa, ma la mettono addirittura in dubbio. E anche questo è un dato inedito, da non sottovalutare assolutamente.  Molte cose che poi hanno riverbero nel continente sono nate nel nostro bistrattato Paese, e dunque ci sta  che questa tendenza italiana porti a maturazioni processi già avviati nel resto del continente”

L’ultima considerazione che viene fuori dalle urne è che la ‘sindrome del referendum’ colpisce ancora. L’errata lettura dei voti espressi per il sì e per il no al referendum costituzionale del dicembre 2015 porta infatti con sé molte vittime, a sinistra come a destra. A partire dall’illusione che il 40% dei Si fosse tutto del Partito Democratico, per finire all’ipotesi che nel No ci fosse il seme per ricostruire la sinistra, o solo lo sgambetto di Berlusconi a Renzi. Non era così e oggi lo vediamo.

Segno che la politica necessita una lettura dei dati reali, non dei desiderata individuali.

Ci auguriamo che questa volta almeno qualcuno abbia il coraggio di guardare in faccia alla realtà. E non ai propri sogni

Domenico Guarino

Firenze, il turismo e l’identità smarrita

Gli italiani sono un popolo meraviglioso: quante volte infatti  abbiamo sentito dire “questo Paese può vivere di arte e di cultura, grazie al turismo”?

Ed in effetti è così: un paese stracolmo di bellezze storico-artistiche e monumentali, paesaggistiche e naturali,  ha nella cultura e nella bellezza un motore eccezionale di sviluppo e di economie. Se poi ci mettiamo dentro anche il ‘patrimonio immateriale’ , ovvero il folclore secolare, gli stili di vita, le nostre tradizioni,  il cibo, il vino, le tipicità enogastronomiche, risulta evidente che stiamo parlando di un patrimonio unico al mondo, che naturalmente attira centinaia di milioni di turisti da tutto il mondo.
Il rovescio della medaglia è che il turismo di massa trasforma fin nell’intimo il volto dei nostri scenari urbani e rurali. Le dinamiche innescate dal movimento di milioni di persone per scopi legati al divertimento ed allo svago determina la vita e la struttura  dei nostri centri storici, va a ridisegnare i quartieri, incide profondamente anche nello sviluppo delle campagne, impone modelli di consumo e di produzione che a loro volta trasformano gli ambienti circostanti, compresi quelli sociali ed economici.
Insomma: non possiamo pretendere che la ricchezza del turismo di produca senza i turisti. Sarebbe un controsenso.

Quello che dobbiamo pretendere ed auspicare semmai  è che ci sia una gestione intelligente dei flussi ed una migliore distribuzione proventi economici che si determinano attraverso il turismo. Ma vaneggiare del ‘bel tempo andato’, di un’età dell’oro definitivamente sepolta sotto il peso del turismo di massa, non ha senso. Soprattutto quando, come spesso accade, questo ‘bel tempo’ è frutto in gran parte  delle nostre costruzioni storico-retoriche e nulla hanno a  che fare con la realtà.

Prendete il surreale dibattito sulle lastricature: si vaneggia di un passato (quale?) in cui le strade fossero tutte in pietra e si chiede che vangano messe ovunque, dimenticandosi che per secoli invece le vie urbane  furono in massima parte di terra battuta, anche nel cuore del Rinascimento. E che comunque la pietra era riservata ai luoghi di pregio più centrali. Il passato è sempre una costruzione immaginaria. Spesso immaginifica, che risente molto delle nostre nostalgie individuali e ci porta a trasfigurare la corretta  ricostruzione storica. Insomma: proprio chi dice di non voler trasformare Firenze nella Disneyland del Rinascimento, spinge inconsapevolmente verso questo paradosso.

Il turismo è una ricchezza. Lo è anche dal punto di vista della nostra identità.
Ad esempio, visto che si parla tanto di ‘artigianato’ e della necessità di preservarlo e promuoverlo, delle produzioni autoctone che vanno salvaguardate etc., va detto con chiarezza che tutto ciò sopravviverà solo grazie al turismo. Perché è il turista che cerca la ‘tipicità’ non il residente. Ed è il turista che chiede servizi di prossimità, laddove il residente va più volentieri a fare la spesa negli ipermercati.

Abbiamo bisogno di città vive e vivaci, non di simulacri di un passato che non torna.
Quindi bene le regole, bene gli investimenti, bene la ridistribuzione dei flussi e dei guadagni, ma, per favore, smettiamola con questo piagnisteo, che non fa giustizia nemmeno del nostro passato.

DOMENICO GUARINO

M5S, i ‘mariuoli’, e la questione morale

Voglio essere chiaro: la vicenda delle restituzioni fasulle non è oggettivamente grave.

Lo è, e molto, dal punto di vista politico. Perché segna definitivamente la fine della ‘verginità’ di un movimento (partito, oramai) che, sbagliando, ha fatto dell’onestà il collante politico di un insieme incongruo di persone, attese, ambizioni, aneliti etc.L’onestà non è un dato politico. E’, deve essere, una precondizione della politica.

E’ un fatto molto grave, paradossalmente, proprio per i motivi che gli adepti a M5S fanno finta di non vedere.

E’ più grave di aver rubato allo Stato, perché in questo caso la disonestà non era richiesta oggettivamente, ma soggettivamente dalle regole del Movimento stesso. Se ne poteva stare fuori avendo il coraggio di dire ‘io i soldi me li tengo’ invece si è preferito frodare tutti gli elettori ed i sostenitori di M5S, prendendoli in giro con delle pratiche di una meschinità imbarazzante. Fossi in loro, negli adepti, mi sentirei violentato nei miei intimi convincimenti. Dalle reazioni che leggo mi pare nn sarà così, anzi. Mi concederanno che l’espressione ‘sono mele marce’ li rende ancora più simili agli altri partiti.

Senza assolutamente paragonare queste ruberie al cancro della corruzione pubblica che attanaglia gli altri partiti i quali, sia chiaro, farebbero bene ad avere lo stesso rigore di M5S rispetto ai propri iscritti, la vicenda ci dice poi anche un’altra cosa: che cioé i ‘costi della politica’ (altro cavallo di battagli di M5S) sono veramente una cosa esigua rispetto alla spesa totale dello Stato. Non è su quello che puoi costruire politiche nuove, ma aggredendo altri cespiti di spesa (come le consulenze, le dirigenze etc etc) ed altre pratiche illegali

DG

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