Morti sul lavoro: il 7 maggio flash mob di UIL Toscana a Firenze

Fantappiè (UIL Toscana): Morti sul lavoro in aumento? La battaglia non si ferma, il 7 maggio in Piazza della Signoria per un flash mob con oltre 200 bare. Il Segretario UIL Toscana: “Vogliamo ricordare che non stiamo parlando di numeri, ma di persone. Persone con famiglia, amici, affetti, sogni, paure e speranze”

“In Italia si continua a morire sul lavoro. Solo in questa settimana sono già cinque le vittime in tutta Italia, una anche in occasione del Primo Maggio. Uno stillicidio che non accenna a fermarsi e che non possiamo assolutamente più tollerare. Come confermano i dati più recenti, i morti sul lavoro sono in aumento: a fine marzo 2024 sono cresciuti del 2% dall’anno precedente, con incidenze molto alte degli over 65 e dei lavoratori stranieri. La Toscana si conferma una delle regioni più a rischio, la tragedia di via Mariti è solo il caso più eclatante: anche ieri si è rischiato la vita lavorando nel territorio di Calenzano, con un operaio e un vigile del fuoco vittime di infortuni. Segno evidente che ancora non abbiamo intrapreso la giusta direzione su salute e sicurezza sul lavoro. La nostra battaglia per Zero Morti sul Lavoro non si ferma!”

Martedì 7 maggio, dalle 9.30, la UIL Toscana scende in piazza della Signoria a Firenze per un flash mob: oltre duecento bare saranno poste davanti all’arengario di Palazzo Vecchio “per ricordare che non stiamo parlando di numeri, ma di persone. Persone con famiglia, amici, affetti, sogni, paure e speranze”. Alle ore 11:00 la discussione si sposterà nel Salone dei Cinquecento, dove ci sarà una tavola rotonda con il Sindaco di Firenze Dario Nardella, i massimi esponenti INAIL e la madre di Luana D’Orazio Emma Marrazzo.

Il primo maggio in Toscana: cortei, comizi e feste in piazza

Manifestazioni, comizi, concerti, e feste nelle piazze. La Toscana e i suoi sindacati si preparano al 1° maggio con iniziative e mobilitazioni sul territorio per parlare di diritti dei lavoratori, in Italia come in Europa. “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale” è infatti il tema scelto di quest’anno scelto da CGIL, CISL e UIL.

 

“Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. È lo slogan scelto quest’anno da Cgil, Cisl, Uil che celebreranno il Primo Maggio in Toscana con tanti comizi, commemorazioni e manifestazioni.  Il Segretario Generale della Cgil Toscana Rossano Rossi la mattina parteciperà al corteo di Empoli per poi recarsi a Livorno alla Festa internazionale dei Il Segretario Generale della Uil Toscana Paolo Fantappiè terrà un comizio Pontassieve dove in seguito  si terrà un corteo. A Montefalcone la manifestazione unitaria nazionale alla quale parteciperà  Il reggente della Cisl Toscana Mattia Pirulli. A Firenze passeggiata in centro alle 17 fino alla Camera del Lavoro in Borgo dei Greci, dove si terrà una festa durante la serata, promossa da CGIL. 

 Sempre a Firenze l’appuntamento in via Mariti, alle 10, all’ingresso del cantiere dove lo scorso 16 febbraio morirono 5 operai. Il corteo, organizzato dall’Unione sindacale di Base, dai Cobas e da numerosi movimento come il Collettivo di Fabbrica GKN , sfilerà attorno all’area del cantiere per poi terminare in piazza Dalmazia, dove sono previsti interventi dal palco

Non mancheranno poi concerti gratuiti e feste nelle piazze Toscane.  Livorno ospiterà la Festa internazionale dei lavoratori e delle lavoratrici, organizzata dalla Cgil: l’evento è stato spostato a causa delle previsioni meteo avverse al The Cage. Le esibizioni si apriranno alle 16.30 con il live degli Unchained, seguiti da Luarte Project e  Bobo Rondelli. A Lari in provincia di Pisa, la decima edizione della festa Rossa dalle 11 del mattino fino alle 23 di sera, incontri, conferenze e musica. A Capannori, torna il concertone In Piazza Aldo Moro. Vinicio Capossela, accompagnato da Fan Fath Al, sarà uno degli ospiti.

 

 

Primo maggio con corteo da via Mariti a Firenze

Primo maggio  – presentata oggi la manifestazione che si terrà mercoledì mattina davanti al cantiere dell’Esselunga dove il 16 febbraio scorso morirono 5 operai. Alla fine del corteo, assemblea pubblica in piazza Dalmazia.

Di seguito il testo del comunicato diffuso in occasione dell’annuncio della mobilitazione: “La strage quotidiana sui posti di lavoro continua e non accenna a rallentare. Il governo Meloni ha approvato un decreto che non produrrà alcun effetto concreto e che non servirà né a colpire i responsabili, né a invertire la rotta degli incidenti e delle morti sul lavoro. Il Primo Maggio pertanto non può essere una festa, ma una giornata di lotta e protesta incentrata sul tema degli omicidi sul lavoro, che si inserisce in un contesto nazionale e internazionale di tendenza alla guerra, carovita alle stelle e dismissioni di aziende, tutti fattori che concorrono a rendere più difficile il contesto nel quale ci troviamo a vivere. Occorrono interventi strutturali per combattere la condizione di ricattabilità in cui si trovano milioni di lavoratori. Questo è uno dei nodi alla base delle morti, dei tanti infortuni e di un generale abbassamento delle tutele in materia di salute e sicurezza.
In primo luogo va cancellato il sistema degli appalti (altro che ce lo chiede l’Europa!), rimettendo in discussione la legge Biagi del 2003 e le successive modifiche, tra cui gli appalti a cascata. Va cancellato il Jobs Act per eliminare gli effetti nefasti che ha determinato nel mondo del lavoro. Occorre stabilire una parità normativa, retributiva e contrattuale per tutte le lavoratrici e i lavoratori che si trovano a operare in un cantiere come anche in qualsiasi altro luogo di lavoro.
È necessario inoltre cancellare la Legge Bossi-Fini, per rompere il nesso tra contratto e permesso di soggiorno che mette sotto ricatto centinaia di migliaia di lavoratori migranti.
Occorre infine introdurre il reato di omicidio sul lavoro, per costruire uno strumento di deterrenza efficace e concreto, e rafforzare la figura degli RLS, proteggendoli dalle ritorsioni dei padroni e dotandoli di maggiori poteri di intervento e di denuncia.
Il Governo e la politica istituzionale, con la collaborazione dei sindacati complici, appaiono sordi e ciechi di fronte alla strage. È urgente continuare a tenere viva la mobilitazione in difesa delle vite delle lavoratrici e dei lavoratori. Occorre dare continuità alla mobilitazione che ha visto il 23 marzo a Firenze scendere in piazza migliaia di persone contro la strage nei luoghi di lavoro e per un parco pubblico intitolato alle vittime di via Mariti”.

ADESIONI ALLA MANIFESTAZIONE (in fase di aggiornamento)

Unione Sindacale di Base
Confederazione COBAS Firenze
CUB Firenze
Potere al Popolo
Rifondazione Comunista
Federazione Toscana Partito dei CARC
Sinistra Progetto Comune
Collettivo di Fabbrica ex-GKN
SOMS Insorgiamo
Rete dei Comunisti
Assemblea 16 febbraio
Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP)
Cambiare Rotta
CPA Firenze Sud
Collettivo di Unità Anticapitalista di Firenze
Fronte di Lotta No Austerity
Movimento Lotta per la casa di Firenze
Casa dei Diritti dei Popoli
USI sanità Careggi
Circolo Agorà Pisa
Associazione La Rossa di Lari
Cobas Lavoro Privato di Pisa
Resistenza popolare – Firenze
Comitato provinciale del Partito Marxista-Leninista Italiano

🎧 Preside Savino minacciata: “Non mi piace il vittimismo, ma denuncia dopo toni e contenuti inaccettabili”

Preside Savino minacciata – Sono in corso accertamenti da parte della Digos dopo una denuncia fatta da Annalista Savino preside del liceo scientifico Leonardo da Vinci per tre lettere ricevute nei mesi scorsi con insulti e intimidazioni.

Ascolta QUI la nostra intervista.

Savino è la preside autrice nel febbraio 2023 della circolare antifascista al suo liceo per condannare il pestaggio di studenti avvenuto alcuni giorni prima davanti al liceo classico Michelangelo da parte di militanti di destra di Azione studentesca.

Negli ultimi tempi la preside ha ricevuto, recapitate a scuola, delle lettere che la stanno preoccupando. In una, dopo gli scontri di Pisa, la si ammonisce in modo volgare a non scrivere cose ideologiche; in una seconda lettera c’erano escrementi. La Digos ha avviato accertamenti.

Di seguito la nota scritta e diffusa dalla stessa preside dopo le notizie apparse sulla stampa nei giorni scorsi:

“In merito alla notizia di stampa sulle lettere di minaccia e insulti che ho ricevuto in seguito alla vicenda di un anno fa della mia lettera agli studenti in cui li invitavo a non essere indifferenti di fronte alla violenza e alle ingiustizie, vorrei chiarire alcuni punti.
Ho scelto di denunciare alle Autorità competenti le minacce e gli insulti che mi sono arrivati. Mi sembrava giusto e corretto non gettarle nel cestino e, al contrario, far sì che gli inquirenti avviassero delle indagini, se ritenute necessarie.
Non ho scelto di rendere pubblica questa mia denuncia, poiché temevo che fosse un modo indiretto per dare risalto a fatti di per sé ignobili e per evitare un eventuale effetto emulativo. Ora che è uscita la notizia, tuttavia, voglio confermare che ho fiducia nel lavoro delle Autorità e che, per quanto mi riguarda, niente è cambiato e proseguo serenamente il mio compito di dirigente scolastica.
Pur non sottovalutando le offese rivoltemi in quanto antifascista, spiacevoli ma non originali, sono convinta che se fossi stata un dirigente uomo, non avrei ricevuto quelle stesse missive, con quello stesso tono. Oggi in questo Paese le donne in posizioni apicali danno ancora fastidio a qualcuno, soprattutto quando non si limitano a dire solo quello che è previsto dai protocolli e suggerito dai superiori, quasi sempre uomini. Quel qualcuno, protetto dall’anonimato, trova normale scrivere insulti irripetibili e dire “Stai zitta!” alla destinataria di turno. L’Italia, fra l’altro, deve fare ancora i conti con questo tema. Poniamoci tutti qualche domanda.
Continuo a fare il mio lavoro, non cercavo e non cerco visibilità. Non mi piace il vittimismo.
Ringrazio moltissimo i tanti che mi hanno dimostrato solidarietà e vicinanza in occasione della diffusione di questa notizia”.

🎧Cosa succede dopo aver subito una violenza? Storie e testimonianza di sopravvissute

Cosa succede dopo aver subito una violenza? Storie e testimonianza di sopravvissute, di chi decide di volercela fare (come e con quali strumenti: per questo episodio di “Un 25 novembre al mese”, rubrica di approfondimento sul contrasto alla violenza di genere a cura di Chiara Brilli e Sandra Salvato, Viola Giacalone ha raccolto le storie di donne vittime di diversi tipi di violenza, per provare a rispondere alla domanda: cosa succede dopo aver subito una violenza? A chi ci si rivolge?

Audio: una sintesi dei contenuti della puntata nel servizio di Viola Giacalone. 

Guarda l’intera puntata qui

“Una cosa che mi sono spesso trovata a spiegare agli uomini che ho vicino e che si sono interessati all’argomento per provare ad essere dei buoni alleati, è che per noi purtroppo le violenze riportate dalla cronaca non sono questioni  “eclatanti” perché in un certo senso fanno parte della nostra quotidianità Se si ha la fortuna di avere una rete di amicizie o di affetti femminili, è normale ritrovarsi nella situazione di ascoltare storie simili, di dover dare consigli o supporto, è normale dover scegliere insieme come comportarsi.

Per questo ho deciso oggi di focalizzarmi su storie che mettano in evidenza quanto ciò che avviene dopo una violenza, non sia una faccenda riassumibile in un titolo di giornale. Sono storie con tempistiche spesso lunghe, non lineari. Sono storie di fatica quotidiana nel sopravvivere con un trauma che spesso è  celato al resto del mondo, che si ha difficoltà a spiegare. Si può essere survivor in tanti modi diversi. C’è chi impiega anni a capire o accettare di aver subito una violenza. C’è invece chi lo capisce subito, e impiega però anni a prendere la situazione in mano, a fare qualcosa che le permetta di andare avanti.  C’è chi rifiuta di identificarsi sia come vittima che come sopravvissuta, passando oltre e basta. 

Ho raccolto 7 testimonianze di amiche e conoscenti alle quali ho posto le stesse domande ed è interessante notare che ci sono delle costanti, nonostante ognuna di queste ragazze abbia vissuto un tipo di violenza diversa. Ci sono survivor di violenza fisica, survivor di violenza sessuale, violenza psicologica e stalking. Per alcune era un amico, per altre un compagno o un amante, per una era un familiare. 

Alla domanda, Cosa avete provato dopo la violenza?

Molte hanno nominato la parola “confusione”. Un senso di spaesamento, di distacco da sé stesse. Una sensazione di “sentirsi sporche”, legata anche, e questa è la cosa che mi è stata ripetuta da quasi tutte, da un senso sia di vergogna che di colpa. La vergogna è quella dell’essersi ritrovate in quella situazione e di non aver saputo reagire e di esserci rimaste. Il senso di colpa è simile, ma si realizza in modi ancora più pesanti, nel pensare ad esempio di essere state le prime responsabili della violenza. Una di queste donne, che ha riportato gravi lesioni dopo una violenza fisica, mi ha scritto:Ho scoperto dopo che in situazioni traumatiche come queste il nostro cervello fatica a ricostruire ciò che è successo, i ricordi si fanno confusi. Io ho quasi pensato di essere stata la prima ad alzare le mani” anche un’altra ragazza vittima di violenza sessuale, mi ha parlato rimozione temporanea del trauma.

Quando è che avete capito di aver subito una violenza? e che quella violenza non era normale? 

Molte tra loro mi hanno detto che se la stessa cosa fosse successa adesso, avrebbero capito più rapidamente di aver subito qualcosa di inaccettabile. Questo fa riflettere sul fatto che i tempi siano cambiati, almeno da un punto di vista della consapevolezza. Una di loro mi ha scritto: “all’ epoca mi sembrava  impensabile denunciare, un sacco di persone assistevano ad abusi e non facevano una piega, quindi per me era difficile identificarlo come violenza. Diciamo che mi sono salvata  perché è stato passato il senno, alla seconda volta che mi venivano messe le mani addosso ho detto basta, questo perché la violenza fisica è più facile da riconoscere. Ma tutto il resto che ho subìto, principalmente insulti continui e controllo di tutto da quello che mangiavo a come usavo il mio tempo non era per me chiaramente un abuso. Non avevo capito bene i miei diritti. devo dire che è intercorso ulteriore tempo da quando ho aperto quel cassetto e ho cominciato a dire a me stessa: ok è successo qualcosa di brutto, a quando ho capito che era un mio diritto dirlo a voce alta, l’ ho capito pochissimo tempo fa, da adulta”

Arriviamo quindi al terzo punto. A chi vi siete rivolte? 

Ognuna di queste donne, ha iniziato il proprio percorso parlandone a qualcuno che sapeva l’avrebbe creduta e non giudicata. Il senso di vergogna e il senso di colpa inibiscono la condivisione. La paura più grande è quella di non essere credute, soprattutto ho notato, nei casi in cui il molestatore faccia parte “del proprio gruppo di amici”.  Ho assistito a casi simili in cui il molestatore è stato protetto dagli altri, si era stabilita un’omertà a riguardo, ma anche casi in cui il molestatore è stato “isolato” dal gruppo. Una delle testimoni mi ha scritto: “devo dire che i miei tentativi di parlarne, per anni hanno avuto esiti orrendi. Ovvero l’ interlocutore minimizzava o mi faceva capire che non ci credeva, che secondo lui stavo esagerando. E questa è una cosa di cui io ho ancora paura, cioè posso dire esplicitamente che ho subito abusi in un contesto protetto e a delle donne. Ma in un gruppo misto non protetto avrei troppa paura di non essere creduta e so che mi farebbe molto male, non voglio vedere facce sospettose” 

Un’altra testimone mi ha scritto Ho ritirato la denuncia dopo qualche settimana per paura che il fatto diventasse pubblico, e di essere tormentata dal fantasma di un “processo” per anni. Lo sapevano solo 2-3 persone perché non mi sentivo di rendere la cosa pubblica, avevo paura di dirlo persino a mia madre per il terrore di reazioni violente, di essere giudicata, per non farli soffrire. Parlarne troppo in giro non mi ha aiutato perché diventavo oggetto di attenzioni non desiderate.”

Cosa vi ha aiutato?

Artemisia ha permesso a una survivor di stalking di capire che l’uomo in questione era pericoloso e che il disagio che sentiva era più che giustificato. A qualcuna ha aiutato il femminismo, il supporto delle altre nella battaglia contro le violenze. Aiutare, ma non risolvere. Certe cicatrici per molte non se ne vanno. L’unica soluzione è nelle mani di chi fa violenza in primis ed è: non farla. Invito tutte a non smettere di parlare, mai. 

Riporto qui alcune testimonianze a riguardo:  

“Iniziare un percorso di terapia mi ha aiutato ad affrontare la maniera in cui mi sono sentita dopo, la difficoltà che ho avuto a ripristinare lucidità e compattezza dopo la frammentazione, la confusione mentale che avevo provato nello stare in queste dinamiche, quelle di una relazione di affetto che si trasforma in una relazione di violenza. mi ha aiutato anche molto un libro: “Lo stile dell’abuso” perché mi ha permesso di dare dei nomi a quello che avevo subito”

“Cosa mi ha fatto stare meglio? Triste da dire ma nel primo periodo l’abuso di alcool e droghe. Sul lungo periodo solo il tempo e l’imparare ad amarmi.”

“Direi che non mi ha aiutato niente, perché non ho elaborato niente. Se ci penso, nonostante siano passati dieci anni mi prende sconforto, paura e rabbia comunque questa persona mi terrorizza. Forse l’ unica cosa che davvero mi ha aiutata è che è sparito dalla circolazione. Di base purtroppo mi ha aiutato la comparsa di un’ altra donna, mi dispiace perché è orrendo ma è stato ovvio che la nuova vittima fosse per me una liberazione.”

“La mia relazione con lui rimarrà per sempre un problema per me. Magari imparerò ad avere relazioni funzionali ma quello mi ha segnato per sempre. Quindi almeno per questo caso non c’è verso di “stare meglio.” 

“Una cosa che mi aiuta molto, la sola, è che vedo che ora accadrebbe con più difficoltà. Cioè a parità ovviamente di istruzione e contesto sociale mi sembra davvero che le cose siano cambiate che uno non la passerebbe così liscia e che se io fossi in quella situazione ora a quell’ età sarei aiutata”

🎧 Il 25 aprile e l’antifascismo, per chi c’era e chi (non) c’è oggi

Il 25 aprile in Toscana, tra la lettura del testo di Antonio Scurati fatto da Stefano Massini in una piazza della Signoria stracolma e la presenza del Capo dello stato per la commemorazione dei morti per la strage di Civitella in Val di Chiana.

Il servizio di Raffaele Palumbo.

«Se mi dichiaro antifascista? No, perché non ha senso. È solo un pretesto fazioso per continuare a dividere la società su cose che sono successe ottanta anni fa». Così il generale Roberto Vannacci, nel giorno della Liberazione e della sua candidatura alle europee per la Lega. Ecco, questo è il bello e insieme il significato profondo del 25 aprile: permettere anche ad un Vannacci qualunque di dire bestialità in piena libertà. Cosa avrebbe fatto senza la Liberazione? Dirigere la Risiera di San Sabba oppure marcire in galera dopo essere stato epurato per aver parlato di un mondo al contrario? Chi lo sa. Quello che di cui siamo certi è che il 25 aprile coinvolge tutti, anche quelli che lo criticano, lo ritengono divisivo, anche quelli che non sanno. Anzi, soprattutto quelli che non sanno e che pensano che la loro libertà sia derivata da un diritto divino. Anche quelli che non c’erano in piazza della Signoria a Firenze, gremita come mai, a sentire Stefano Massini leggere il testo di Antonio Scurati, anche quelli che non erano con il Presidente della Repubblica Mattarella a commemorare i morti della strage di Civitella in Val di Chiana, una delle tante, tantissime, commesse dai nazifascisti, tedeschi ed italiani, tra il ’43 e il ’45, anche quelli che ignorano la tragedia dei parenti delle vittime che ancora aspettano di essere risarcite, anche quelli che hanno inneggiato alla apertura di alcuni supermercati perché “il 25 aprile è la festa dei comunisti”. Ignoranti di tutto il mondo, unitevi, dopo il 25 aprile siete liberi anche voi.
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