Massimo Sestini a Forte Belvedere: Bellezza Oltre il Limite

Massimo Sestini, nato a Prato nel 1963, è un fotografo celebre.

Massimo Sestini è stato chiamato “re dei paparazzi” per i suoi molti scoop che rubano in maniera rocambolesca immagini di politici, reali, sportivi, divi e celebrità.

Firenze, il fotoreporter Massimo Sestini in volo in elicottero sulla città 2019-11-26 © Massimo Sestini

Sono tante le sue immagini ottente grazie a macchine fotografiche nascoste o a lunghi appostamenti. Per esempio, negli anni grazie a lui abbiamo visto Diego Maradona in clinica a disintossicarsi e Lady Diana in bikini. Oppure abbiamo “partecipato” a blindatissimi matrimoni come quello di Kim Kardashian e Kayne West a Firenze.

Ma Massimo Sestini lavora anche a più ampio raggio.

Dagli anni Ottanta infatti Massimo Sestini documenta anche gli eventi più importanti del nostro tempo. Sono sue le immagini di stragi come quella dell’Italicus, “rubata” nel 1984 a 21 anni, e quelle di Capaci.

Sue sono anche tante altre fotografie che scandiscono la storia contemporanea. A Firenze per esempio di recente abbiamo visto i suoi ritratti di infermieri al tempo del Covid. Forse la sua immagine più famosa è quella del barcone di migranti, con la quale ha vinto nel 2015 il World Press Award. Come dire, il Nobel della fotografia di reportage.

La “cifra” stilistica di questa e delle altre sue fotografie di paesaggi più recenti è che sono zenitali, cioè prese dall’alto. Esattamente sopra la testa del soggetto fotografato. Sono ottenute insomma volando direttamente sopra i luoghi e le persone. Lo fa lui in persona su aerei militari o elicotteri. Oppure utilizza droni.

E proprio zenitali sono le 20 immagini che compongono la mostra “Massimo Sestini, Oltre la Bellezza”, aperta al Forte di Belvedere a Firenze fino al 31 ottobre 2020.

Si tratta di immagini stampate nel formato gigante di 3 metri per 5 su grandi teloni in pvc. Questi teloni, montati su imponenti strutture metalliche, consentono una visione “doubleface”. Così 10 strutture metalliche supportano 20 immagini.

Cosa raccontano queste grandissime fotografie di Massimo Sestini?

Raccontano la Toscana. Per una mostra che infatti nasce come progetto e campagna internazionale di promozione della regione.

Già da qualche anno Massimo Sestini racconta l’Italia vista dall’alto. Dal 2015 lo fa dagli elicotteri della Polizia di Stato. Scattando a perpendicolo sui suoi soggetti o un’ora prima dell’alba o dopo il tramonto.

Anche in questa mostra, luci particolari, lenti speciali e mezzi straordinari raccontano dunque la Toscana di Massimo Sestini.  Dal Forte, le immagini si impongono prepotentemente contro lo sfondo di Firenze. E il risultato è molto contemporaneo, nel bene e nel male. E’ cioè di un grande impatto molto “Instagrammabile”; ed è molto, molto (troppo?) patinato.

@Margherita Abbozzo

“Massimo Sestini, Bellezza Oltre il Limite” è a cura di Sergio Risaliti ed è promossa dalla Regione Toscana e dal Comune di Firenze. Il progetto è realizzato da Fondazione Sistema Toscana, Toscana Promozione e Mus.e. L’ingresso è libero.

Tutte le fotografie sono mie, a parte il selfie sull’elicottero, l’immagine di copertina e l’immagine del barcone di 227 migranti al largo della Libia, del 7 giugno 2014, che sono courtesy di Massimo Sestini.

Jacopo Benassi e il suo “Vuoto” al Centro Pecci di Prato – interviste

“Vuoto” è il titolo della mostra di Jacopo Benassi che apre al Museo Pecci di Prato.

Jacopo Benassi, nato nel 1970 a La Spezia, è un artista che lavora con la fotografia, la performance, la musica e l’immagine in movimento.

Questa sua mostra “Vuoto” curata da Elena Magini raccoglie lavori prodotti in 25 anni di attività.E corona quella ricerca sui temi centrali nella società e nell’arte contemporanee, cioè sul corpo, identità e gender, avviata dalla direttrice del museo Cristiana Perrella prima con la mostra Soggetto Mobile e con Nudi di Ren Hang poi.“Vuoto” occupa il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci e allo stesso tempo esce anche nella città di Prato, grazie a una serie di affissioni pubbliche di grandi dimensioni dedicate alle attività, strumenti, donne e uomini del distretto tessile pratese. Benassi racconta che mentre lavorava al progetto nelle fabbriche “una delle cose che mi ha più colpito è stata la presenza di immagini sacre. Mi aspettavo un legame forte con la politica e invece ho trovato un legame con la religione.

Il mio sguardo si è fermato perciò molto su questo aspetto e poi sul rito del mangiare e sui gesti delle mani, che sono forse le vere protagoniste di queste mie fotografie”.

Non a caso. Infatti il corpo è forse il protagonista principale del lavoro di Benassi.

E ha sempre una presenza molto forte, sia che si tratti di corpo in movimento nelle performance in collaborazione con altri artisti come i Kinkaleri, Sissi e tanti altri, oppure statico negli autoritratti e nei rimandi alla scultura classica.

Forti sono anche proprio le immagini. Infatti Benassi scatta sempre – apposta – col flash,  letteralmente sparando una luce forte e volutamente non naturale sui volti, su i corpi o i particolari che gli interessano.

Con risultati che rimangono fedeli a un’estetica “underground”, comunque alternativa alla patina glossy tipica della comunicazione contemporanea.

E forte infine è anche la presenza proprio fisica delle sue fotografie.

Nella nostra era dominata da immagini digitali postprodotte e smaterializzate, quelle di Jacopo Benassi vanno volutamente in senso “ostinato e contrario”. Grazie alla fisicità prepotente dei soggetti, delle luci, della disposizione delle opere nella mostra.

Fino anche a quella delle cornici – realizzate da lui e spesso volutamente prese a colpi di accetta.

“Vuoto” ci porta fin dentro lo studio di Benassi. Svuotato, spostato e ricreato in mostra.

Allo stesso tempo poi, “Vuoto” come titolo richiama anche il suo desiderio “di mettersi a nudo, tirando fuori da sé tutto, in un percorso di auto-esposizione pubblica”.

E allora: svuotare per ricominciare. Fare il “vuoto” per poi ripartire con più forza. Cioè forse l’augurio più importante, oggi come oggi.

@Margherita Abbozzo.

L’intervista all’artista a cura di Chiara Brilli

https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/Jacopo-Benassi-Pecci.mp3?_=1

 

“Vuoto” di Jacopo Benassi rimane aperto fino al 1 novembre. Tutte le info pratiche qui. Tutte le immagini courtesy Centro Pecci Prato. Quella dell’affissione pubblica è di Margherita Villani, courtesy Centro Pecci Prato.

Interviste alla direttrice del Pecci, Cristiana Perrella e alla curatrice Elena Magini

https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/200908_02_CRISTIANA-PERRELLA-SU-MOSTRA-BENASSI.mp3?_=2 https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/curatrice.mp3?_=3

Ustica 40 anni dopo: Nino Migliori, Stragedia.

Quarant’anni. Il 27 giugno 2020 sono quarant’anni da quando è successa la tragedia-strage di Ustica. E siamo sempre senza risposte.

Ustica è una delle più grandi, terribili e offensive tragedie della storia moderna italiana. Lo è per quello che successe e per come siamo stati tutti presi in giro da quarant’anni.

Ustica: il nome è diventato l’abbreviazione per un evento terribile. Per i più giovani, ecco cosa successe. La sera del 27 giugno 1980 un DC9 decolla da Bologna con 69 adulti e 12 bambini a bordo. Non arriva mai a Palermo. Esplode in volo al largo dell’isola di Ustica.

Com’è possibile? Per anni ci hanno raccontato la favola del “cedimento strutturale”. Ovvero sia, quella di un aereo che esplode in volo, da solo.

Poi ci sono stati anni di depistaggi, di insabbiamenti e di sparizioni delle prove. Insomma, i tentativi di far luce su quanto successo rimbalzano per decenni su un vero e proprio muro di gomma (titolo del film su Ustica di Marco Risi). Ma grazie al lavoro costante dell’Associazione dei parenti delle vittime di Ustica guidata da Daria Bonfietti, e a quello del magistrato Rosario Priore, oggi sappiamo come andarono le cose.

Oggi sappiamo che quella notte sui cieli italiani si svolse una “guerra non dichiarata”.  Sappiamo che quella guerra impegnava 21 aerei militari di diverse nazionalità. E che uno di loro sparò un missile a un bersaglio (ancora sconosciuto) “nascosto” nella scia del DC9. Il quale fu così centrato in pieno.

Ci sono tanti libri che parlano di questa vergogna nazionale. E adesso c’è un lavoro d’arte.

Infatti apre al pubblico a Bologna Nino Migliori. Stragedia.

Nino Migliori, classe 1926,  è uno dei decani della fotografia italiana.

Stragedia è un’istallazione immersiva e come dice Migliori stesso, “Stragedia è un titolo che vuole far capire che si tratta di una strage nella tragedia“.

Per questo progetto, curato da Lorenzo Balbi, Migliori ha lavorato a stretto contatto con artisti molto più giovani: Aurelio Zarrelli per i suoni e le musiche; e Elide Blind e Simone Tacconelli per i montaggi e la sceneggiatura dei video.

Ma come nasce Stragedia? Nel 2007, poco prima che i frammenti ripescati in mare al largo di Ustica venissero ricomposti nel museo bolognese dedicato alla tragedia e al DC9, Nino Migliori decide di fotografarne i miseri resti. Risultato: 81 fotografie in bianco e nero, ovvero tante quante le vittime.

Sono immagini emotivamente fortissime. Scattate a lume di candela, “perchè la luce della candela è una luce con tempi diversi da quella elettrica, è una luce da meditazione, e volevo che rendesse l’emozione davanti a quella tragedia”.

Quando nel 2007 seppi che si stava allestendo un Museo per la Memoria di Ustica sentii la necessità di fare un omaggio alle 81 vittime di quella stragedia. Poiché fin dall’antichità la luce e la fiamma che la produce, oltre che illuminare, hanno anche un significato di protezione, decisi di realizzare a lume di candela 81 fotografie di frammenti dell’aereo come fossero ceri votivi vibranti contro le tenebre in senso lato”.

Proprio per questo coinvolgimento emotivo Nino Migliori però non vuole in nessun modo pensare a quei lavori come a delle semplici stampe. Vuole al contrario che l’opera rimanga aperta. E viva, come deve essere la nostra memoria. Così nasce allora l’istallazione immersiva ospitata adesso nella ex chiesa di San Mattia a Bologna fino al 7 febbraio 2021.

7 schermi di grandi dimensioni posizionati ad altezze e angolature diverse avvolgono lo spettatore. Il tutto è immerso in un buio pesto. La colonna sonora utilizza brani composti per l’occasione e materiali originali. Il lavoro prende alla gola.

Perchè le fotografie di Migliori parlano da sole. Anzi, urlano da sole.

Grazie a lui, quindi, grazie al suo team, grazie alla città di Bologna e grazie all’associazione dei parenti delle vittime di Ustica, che mantengono accesa la luce nelle tenebre che purtroppo ancora avvolgono la nostra storia recente.

@Margherita Abbozzo

Nino Migliori. Stragedia, a cura di Lorenzo Balbi, è a Bologna, alla Ex Chiesa di San Mattia, dal 27 giugno al 7 febbraio 2021. L’ingresso è libero, con prenotazione allo 051 6496611
 o a questo link.

Nino Migliori. Stragedia.  Promossa da Comune di Bologna, Istituzione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Museo per la Memoria di Ustica, Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, in collaborazione con Fondazione Nino Migliori, MiBACT – Direzione Regionale Musei Emilia Romagna, Cronopios e con il sostegno di Fondazione MAST.

Tutte le immagini: Nino Migliori, Stragedia, 2007-2020, © Fondazione Nino Migliori.
Il ritratto di Nino Migliori è di A. Minzoni

Marco Bagnoli, Scala Coeli. Due libri, un canto.

Marco Bagnoli è un artista contemporaneo legato a doppio filo con Firenze. Mercoledì 24 giugno, alle ore 16.30,  lo sarà ancora di più, grazie a SCALA COELI.

Di cosa si tratta?

Come sanno anche le pietre a Firenze, mercoledì 24 giugno è San Giovanni. Non ci saranno i fuochi quest’anno, ma ci sarà una speciale riapertura della basilica di San Miniato al Monte.

Sarà speciale perchè ospiterà un incontro/performance/momento unico, cioè SCALA COELI. Due libri, un canto. In questa occasione la presenza, l’arte e la voce di Marco Bagnoli saranno accompagnati dalla musica di Luca Di Volo e di Eleonora Tassinari. E dai monaci olivetani, sotto la guida dell’ Abate Bernardo.

Insomma sarà una cerimonia rituale, che sarà celebrata in un luogo specialissimo e magicissimo – esso stesso “porta del cielo” – in un giorno unicissimo, cioè quello di San Giovanni in cui, appunto, si aprono le porte dei cieli per mettere in comunicazione la terra con il regno dei cieli.

Il tutto prenderà il via da dove inizia la vera vita per i cristiani, cioè al Fonte battesimale, opera in alabastro di Marco Bagnoli.

L’arte si fonderà con la musica e con le parole. Infatti nella stessa occasione saranno anche presentati due libri: Marco Bagnoli Janua Coeli, edito da Petra, Firenze 2019;

E Scritti sospesi / Visioni estatiche, di Fulvio Salvadori, pubblicato da Lindau, Torino 2020.

Interverranno anche Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno e della Fondazione Casa Buonarroti, Firenze; e Pier Luigi Tazzi, il curatore dell’ Atelier Marco Bagnoli, a Montelupo Fiorentino.

Marco Bagnoli ha già lavorato a San Miniato. E’ ancora fresca la memoria del suo lavoro Janua Coeli, cioè “Porta del Cielo”, realizzato solo due anni fa nel 2018 per celebrare il millenario della basilica. Sia lì che in altre parti di Firenze una volta visti i suoi lavori sono indimenticabili.

Scala Coeli di Marco Bagnoli proporrà insomma, come sostiene l’abate Bernardo “gesti, movimenti, canti, silenzi, letture e declamazioni finalizzate a riassumere il significato di memoriale dei dieci secoli da poco compiuti e più ancora di aprire al futuro, alla libertà e alla verticalità del cielo le nostre inquietudini dopo mesi di forzosa clausura per la quarantena”.

 

Margherita Abbozzo

L’arte contemporanea ai bordi del Caos

L’arte contemporanea al tempo del caos. At the Edge of Chaos è il titolo della mostra online visitabile dal 18 al 18 giugno sul sito manifatturatabacchi.com.

Perchè una mostra online? Perchè tra i tanti effetti del Covid 19 c’è anche quello di aver per forza di cose cambiato il nostro rapporto con l’arte.

Sarà una cosa momentanea? O l’inizio di un cambiamento profondo? Ai posteri l’ardua sentenza.

Intanto bisogna non fermarsi. Come dimostra questa occasione creata dagli studenti del Master in Arts Management di IED – Istituto Europeo di Design di Firenze, in collaborazione con Fondazione Palazzo Strozzi e con Manifattura Tabacchi.

At the edge of Chaos, o in italiano Al limite del caos, meglio ancora Al bordo estremo del burrone che si affaccia sul caos, corona il progetto della Fondazione Palazzo Strozzi dal titolo  “Sistemi Complessi”.

Questo progetto è nato per stimolare creativi e professionisti del mondo dell’arte a produrre lavori in relazione alla mostra Tomás Saraceno. Aria.

A proposito, ricordate che la mostra è di nuovo visitabile a Palazzo Strozzi, e che è aperta fino al 1 novembre 2020.

Dunque, i tredici artisti selezionati sono studenti di quattro scuole d’arte di Firenze: l’ Accademia di Belle Arti, la California State University, la Fondazione Studio Marangoni e la LABA, Libera Accademia di Belle Arti.

I loro nomi? Eccoli:  Baoyi Cao, Chen YongZhe, Claudia Vignale, Elisa del Taglia e Sara Sassi, Fan Qingduo, Gianmarco Rescigno, Isaac Michael Ybarra, Liu Xuan, Samuele Bartolini, Santiago Navarro, Teresa Bellandi, Yuan Libin, Zhang Manjie.

Questa mostra nasceva come progetto finale del Master in Arts Management di IED Firenze. E doveva tenersi presso gli spazi di Manifattura Tabacchi a Firenze.  Però il caos dell’emergenza COVID-19 ha stimolato la creazione di un nuovo formato. Online.

Così il pubblico avrà la possibilità di vivere l’esperienza in un modo nuovo, in uno spazio virtuale.

E con in più anche due performance live sul canale Instagram della mostra:  @at_the_edge_of_chaos.

Come scrivono gli organizzatori “questo formato tutto digitale ha stimolato la produzione artistica su nuovi livelli, spostando le percezioni e le possibili interazioni da ciò che normalmente sarebbe accaduto in uno spazio fisico tradizionale a una realtà virtuale in cui immagini, trame e suoni, racchiusi all’interno dello schermo, acquisiscono nuovi significati e forniscono nuovi spunti di riflessione.”

“Traendo spunto dalla poetica di Tomás Saraceno, le opere della mostra esaminano la collisione tra i complessi sistemi dell’uomo e della natura, che talvolta sfocia in un danno irrevocabile all’ambiente, le interazioni intersociali tra gli esseri umani, sia nella realtà che nello spazio virtuale, e l’interazione personale di ciascun individuo con la propria psiche”.

“Il titolo del progetto espositivo, At the Edge of Chaos, prende spunto da una dichiarazione
di Andrea Ferrara, professore di Cosmologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, secondo cui “i sistemi complessi sono situati tra ordine e disordine, o ai limiti del caos”. Come l’attuale situazione di crisi dimostra, viviamo sempre ai margini del caos, cercando di mantenere le redini dell’ordine.”

Dunque la mostra inaugura giovedì 18 giugno alle ore 12.00  sulle pagine Facebook di Fondazione Palazzo Strozzi, Manifattura Tabacchi e IED Firenze.

Le due performances live saranno in diretta streaming sull’account Instagram @at_the_edge_of_chaos: la prima, di Liu Xuan, A Tombstone which Is Dying sarà giovedì 18 giugno in orario ancora da comunicare.

Mentre la seconda sarà visibile lunedì 22 giugno alle ore 18.30, e si tratta di Pollution, lavoro di Elisa Del Taglia e Sara Sassi.

Come sarà la nuova frontiera ai limiti del caos?

@Margherita Abbozzo

 

Le immagini, in ordine di apparizione, sono di: Fan Quinduo, Samuele Bartolini, Teresa Bellandi, Isaac Michael Ybarra, Liu Xuan

Giovanna Garzoni, artista extraordinaire

Giovanna Garzoni è stata ed è un’artista celebre. A ragione.

Giovanna Garzoni è vissuta nel Seicento. E ancora le sue opere ci toccano, ci meravigliano e ci commuovono. Oggi viviamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale e nell’era delle riproduzioni fotografiche a così alta risoluzione che possiamo “vedere” certe tele quasi più di quanto le videro i loro stessi autori. Eppure, o forse proprio per questo, i nostri occhi ancora oggi quasi non credono alla capacità tecnica quasi soprannaturale di Giovanna Garzoni.

Provare per credere. La mostra con la quale riprende dal 28 maggio l’attività espositiva di Palazzo Pitti è infatti dedicata a lei.Questa mostra, “La grandezza dell’Universo” nell’arte di Giovanna Garzoni, curata da Sheila Barker e con il supporto di AWA – American Women Artists – doveva aprire a marzo. Poi per il Covid19 naturalmente non è stato possibile.  E’ bello poter tornare adesso a godere di Palazzo Pitti con questa mostra piena di lavori squisiti e così fini da lasciare increduli.

Marchigiana, di Ascoli Piceno, e nata più o meno con il secolo, Giovanna Garzoni mostrò subito un talento fuori dall’ordinario. E fuori dall’ordinario fu anche la sua vita.

Immaginate: donna e artista, senza marito o “protettore”, nel Seicento!, viaggiò molto in Italia e in Europa ed ebbe molte commissioni importanti da personaggi potenti. Cosa ancora più importante, allora come oggi, riuscì a mantenersi da sola tutta la vita. E a guadagnarsi con la sua arte grande rispetto e universale ammirazione.

Giovanna Garzoni cominciò subito, a 18 anni, ad avere commissioni importanti. A Venezia, per dipinti a olio in luoghi pubblici e prestigiosi come l’Ospedale degli Incurabili. Cioè roba seria. Il suo talento spaziava poi dalla calligrafia alla miniatura, alla musica – suonava strumenti a corda – e al canto. Insomma fu un’artista a tutto tondo.

Giovanna Garzoni lavorò per le grandi casate del tempo, tra le quali per nostra fortuna ci furono anche i Medici – per questo Firenze conserva una nutrita collezione di sue opere. E fu amica e sodale di altre artiste donne, come Artemisia Gentileschi, insieme alla quale lavorò a Roma e in Inghilterra; e Arcangiola Paladini, altra artista medicea.

In Europa, lavorò per i committenti più importanti delle corti francesi e inglesi, apprezzata sia da donne – come per esempio Cristina di Borbone, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, detta Madama Reale perchè sorella di re Luigi XIII di Francia; che da uomini, come il Cardinal Richelieu e il grande erudito Cassiano Del Pozzo.

La sua specialità erano le nature morte su pergamena, dipinte con una finezza sbalorditiva. Questa finezza, raggiunta grazie a una abilità tecnica senza eguali, è la cifra di tutto il suo lavoro. La mostra a Palazzo Pitti raccoglie 100 opere. Sono le sue giustamente famose nature morte, insieme a molte miniature e ad altri lavori,

come questo sorprendente e davvero meraviglioso paliotto (il telo che copriva il davanti degli altari) realizzato con la tecnica inusuale di fiori dipinti su seta e incollati poi su un fondo di taffetas.La mostra fa parte della serie dedicata alle donne iniziata a Palazzo Pitti qualche anno fa. Ed è senz’altro da vedere.

 

Margherita Abbozzo.

Le fotografie in mostra sono state fatte da me; quelle delle opere sono:

in copertina, Giovanna Garzoni, Cagnolina con biscotti e una tazza cinese, circa 1648, tempera su pergamena, cm 27,5 x 39,5, firmato nell’angolo in basso a destra: “Giovanna Garzoni F.”, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina.

Poi, tutte di Giovanna Garzoni: 1, Autoritratto come Apollo,  Firmato sullo strumento: “Giovanna Garzoni F” circa 1618–1620, tempera su pergamena, stesa su lino, cm 42 x 33, Roma, Palazzo del Quirinale.

4, Vaso di vetro con fiori su piedistallo in pietra accanto a una pesca, circa 1647, tempera con trace di matita nera su pergamena, cm 65.8 x 47.9, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi;

5, Vaso cinese con tulipani, anemoni e giunchiglie, con fico e fava, circa 1650–1655, tempera con trace di matita nera su pergamena, cm 50.6 x 36.2, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi;

6, Piatto cinese con carciofi, rosa e fragole, circa 1655–1662, tempera su pergamena, cm 24.0 x 32.0, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria Palatina;

E 8, Carlo Maratti, Ritratto di Giovanna Garzoni, 1665 circa, olio su tela; cm 64 x 49, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica.

 

 

 

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