I Nuovi in scena al Niccolini per i cinquecento anni della “Mandragola”

Da mercoledì 11 a domenica 22 aprile i Nuovi fanno rivivere al Teatro Niccolini di Firenze la “Mandragola” di Machiavelli, per la regia di Marco Baliani. La neo compagnia della Scuola per Attori “Orazio Costa” si presenta per la prima volta al pubblico con un capolavoro teatrale del ’500, beffa erotica dal sapore boccaccesco, tanto lieve quanto complessa.

Le scene e i costumi appartengono a Carlo Sala. 

Una produzione Fondazione Teatro della Toscana.

Una comicità amara e spietata poiché, se lo scopo dell’agire politico ha una ‘intenzione alta’, i personaggi della Mandragola usano tutte le loro migliori energie e virtù per uno scopo greve e volgare: il soddisfacimento dell’amore sensuale e l’interesse economico.

Il regista spiega che, “nonostante la materia leggera, Mandragola non tralascia di trattare temi spinositi e compositi o di smentire il Machiavelli de “Il Principe”: dallo smascheramento dell’ipocrisia di autorità intoccabili come la Chiesa o la famiglia nella Firenze rinascimentale, alla dimostrazione che, nella conquista di qualcosa di importante, non importa se di una donna o di un principato, le regole del gioco sono sempre le stesse”.

 

Per la prima volta in Italia un teatro, il Niccolini di Firenze, è interamente animato, vissuto, gestito, spettacolarizzato da giovani attori. Il primo nucleo è costituito dai neodiplomati della Scuola ‘Orazio Costa’ della Fondazione Teatro della Toscana, riuniti sotto il nome dei Nuovi. Sono impegnati in tutti gli aspetti della macchina teatrale, dalla direzione artistica all’amministrazione, dalla comunicazione alle pulizie. Il progetto, strutturato su un percorso di tre anni, prevede che a ognuno dei giovani attori coinvolti sia corrisposta una borsa di studio mensile.

Mandragola compie nel 2018 cinquecento anni: anche se la data convenzionale del 1518 viene oggi retrodatata, può assurgere a gesto simbolico che il percorso della sala di via Ricasoli cominci con quello che viene tradizionalmente considerato il testo fondativo del teatro in lingua italiana, audace per argomento, con molti riferimenti alla novellistica del Boccaccio nell’intreccio e una rappresentazione del tutto negativa della Chiesa e della morale.

Nell’ottica quindi di un rinnovato rapporto formativo Giovani/Maestri, Marco Baliani dirige un cast di giovanissimi in uno spettacolo in continuo fibrillante movimento, come se il turbine delle passioni che governano gli animi dei personaggi si esplicitasse in una frenesia di corpi danzanti. Machiavelli intende analizzare e mostrare la verità effettuale dei mezzi con cui l’uomo arriva a raggiungere i suoi fini, attraverso una prospettiva più intima, di uno scenario della vita privata, utilizzando il linguaggio della comicità, ancora più amara e spietata.

“Quando Machiavelli scrive Mandragola è già stato estromesso da qualsiasi carica istituzionale nel governo della città di Firenze – dice Marco Baliani – è relegato in una specie di esilio forzato, nelle sue campagne. Mastica amaro, la pienezza di vita politica sperimentata in gran parte della sua esistenza è ormai alle spalle e sente che mai più tornerà. Si dedica a una commedia umana che presenta all’inizio del testo come una bagattella, un divertimento scusabile, dato che s’ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più suave”.

Ogni personaggio ha un suo doppio-ombra che invisibile lo trascina, lo muove, gli sussurra le parole da dire, lo confonde e lo turba; un regista occulto che muove il corpo del personaggio come una marionetta. Il linguaggio di Machiavelli è in parte tradito, come sempre accade quando l’arte commette l’arbitrio di una traduzione: le parole hanno la stessa forza di quelle originali, ma riescono a parlare alle nostre orecchie disincantate, sono materiche e quindi mai filologicamente rispettose.

“Siamo di fronte a una commedia scura, nera, che non lascia spazio a illusioni. Gli esseri umani – spiega Marco Baliani – sono spinti ad agire da impulsi passionali, sono mossi dal desiderio di veder realizzati ad ogni costo i propri desideri e voglie, e vorrebbero ottenerli con qualsiasi mezzo, senza essere toccati dalla legge, senza dover subire contraccolpi. Ciò che muove i personaggi è un atteggiamento criminale, agire al di fuori della legge ed essere sicuri di poterlo fare”.

Lo Stato, il Principe, la Politica dovrebbero essere consapevoli di ciò che i cittadini, nella realtà, sono, che cosa sentono, da quali bisogni sono mossi ad agire e dovrebbero riuscire a governare le loro passioni affinché non nuocciano alla società ma producano al contrario un utile. Ma questa capacità di ascolto manca del tutto al pensiero politico di oggi.

“Per Machiavelli la gente – conclude Baliani – doveva essere amata, vissuta, incontrata nelle osterie, nelle piazze: solo da lì, da quel contatto, nasceva il suo pensiero politico. Solo avendo fatto esperienza del mondo poteva creare i personaggi della Mandragola; devo allora cercare di restituirli al pubblico con tutta la spietata oscurità da cui provengono, è l’unico modo per conoscerli davvero, per conoscerci davvero”.

Anton Corbijn ospite d’onore al Lucca Film Festival e Europa Cinema

Il fotografo e regista di culto Anton Corbijn sarà l’ospite d’eccezione di domani, martedì 10 aprile, del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018. Corbijn, ha ritratto i giganti della storia del rock e realizzato videoclip ormai considerati delle vere e proprie opere d’arte, sarà lui il protagonista di questa terza giornata della kermesse cinematografica tra incontri e proiezioni.

Al cinema Centrale si parte alle 9.00 con la proiezione del film Control (UK, 2017) sulla controversa figura di Ian Curtis, cantante del gruppo rock Joy Divsion, e il dramma personale, professionale e sentimentale che lo porterà a togliersi la vita alla giovane età di 23 anni. A seguire, ore 11, la masterclass di Corbijn dedicata alla relazione tra cinema e musica e si confronterà con Alessandro Romanini, Enrico Stefanelli Direttore Artistico del Photolux Festival e Mimmo d’Alessandro del Summer Festival in un incontro che spazierà fra musica, cinema e fotografia.

Corbijn alle 20.30 riceverà il Premio alla carriera al cinema Astra (dalle 20.00 sul red carpet). La cerimonia precederà la proiezione del film Life (Canada e Germania, 2015), introdotta da Alessandro Romanini, che racconta il forte legame di amicizia fra il fotografo della rivista Life Dennis Stock e l’attore James Dean.

Cinema Centrale

Le proiezioni riprenderanno nel primo pomeriggio: alle 15.00 il primo appuntamento con il Concorso internazionale di Cortometraggi. Alle 17 The Cannibal Club (Brasile, 2018), una commedia horror in cui una ricca coppia offre eleganti cene a bordo del proprio yacht a base di carne umana; a seguire The marriage (Kosovo, 2017) la tormentata storia d’amore fra Anita e Bekim a cui fa da sfondo la guerra in Kosovo. Entrambi i film sono all’interno della sezione Concorso internazionale di Lungometraggi.

Presso l’Auditorium Vincenzo da Massa Carrara (via San Micheletto, 2)

Le proiezioni avranno inizio alle 15.00 con Bansky does New York (USA, 2014) il documentario di Chris Moukarbel che segue il celebre “street artist” Bansky durante il suo progetto “31 works of art in 31 day” nella Grande Mela. A seguire, dalle ore 17, il primo appuntamento con la rassegna “Cortometraggi Arte e Cinema” che presenta le opere di alcuni dei principali rappresentanti delle ultime tre generazioni della videoart: dai pioneri internazionali all’ultima “ondata” del video digitale, da Nina Surel a Santiago Sierra, Marja Josè Arjona e Luca Gaddini. A inaugurare questo ciclo di proiezioni sarà Don Van Vliet: Some Yoyo Stuff (UK, 1993) di Anton Corbijn, seguiranno Programma 1: Point of view e Programma 2: Video Ergo Sum. Lo sguardo e l’identità contemporanea.

A chiudure il programma di proiezioni di questa terza giornata sarà alle 21.00 il film culto di Stephen Frears Alta Fedeltà (USA – UK, 2000), tratto dall’omonimo libro dello scrittore britannico Nick Hornby. Protagonista è Rob Gordon, proprietario di un negozio di dischi a Chicago, dalla conoscenza musicale enciclopedica e dalla vita sentimentale burrascosa.

INFO: Ingresso:35 euro abbonamento completo, 30 euro abbonamento ridotto, 12 euro abbonamento giornaliero, 10 euro giornaliero ridotto, 7 euro evento singolo, 5 euro ridotto evento singolo.

Middle East Festival: opening night con il film Wajib

La 9ª edizione del festival dedicato al Medio oriente contemporaneo Middle East Now si apre martedì 10 aprile alle 21.00 al Cinema La Compagnia, dove la regista palestinese Annemarie Jacir introdurrà il suo ultimo lavoro “Wajib”. Premiato come Miglior Film al Festival Internazionale del cinema di Dubai, candidato agli Oscar 2018 per la Palestina, il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 19 aprile

Tra le voci più rappresentative del cinema medio orientale dei nostri giorni, che ha scritto, diretto e prodotto oltre 16 film, Annemarie Jacir torna a dirigere il celebre attore Saleh Bakri, protagonista insieme al padre Mohammed Bakri della pellicola Wajib in cui si raccontano le vicende di Abu Shadi, padre divorziato e insegnante ultra sessantenne che vive a Nazareth e di suo figlio Shadi, architetto che arriva da Roma dopo anni di assenza, per aiutare il padre a onorare il suo “wajib”: consegnare a mano le partecipazioni al matrimonio della figlia, secondo la tradizione palestinese. Un gesto solenne e culturalmente importante che dà vita a un road-movie toccante, per esplorare la complessità del rapporto tra padre e figlio, ormai quasi estranei, nel confronto tra liberà e dovere, modernità e tradizione.

Ad introdurre la serata l’attrice teatrale Laura Croce, che interpreta brani del poeta palestinese Mahmoud Darwish tratti dalla raccolta “Undici pianeti” (edizioni Jouvence), e l’anteprima europea di “The Best Life”(Kuwait, 2016) del giovane regista kuwaitiano Meqdad Al-Kout, divertente cortometraggio sull’ossessione contemporanea dell’essere connessi.

Fino a domenica 15 aprile al Cinema La Compagnia sarà visibile la mostra “Flying Boys” della fotografa Tamara Abdul Hadi con immagini di giovani uomini catturati mentre sono in procinto di tuffarsi o volano in aria, pronti a gettarsi nelle acque del mare intorno a Beirut, Akka, Tunisi e Gaza, in cui dove il mare sembra rappresentare la libertà, il sollievo e la calma, attraverso.

INFO: Opening Night del festival con “Wajib” di Annemarie Jacir
Martedì 10 aprile ore 21.00 – Firenze, Cinema La Compagnia, via Cavour 50/r

SITO FESTIVAL

 

“Appuntamento al buio” alla Pergola: girotondo di destini firmato Andrèe Ruth Shammah

Da martedì 10 a domenica 15 aprile Andrée Ruth Shammah dirige al Teatro della Pergola di Firenze la novità assoluta per l’Italia “Cita a ciegas” (Appuntamento al buio): un sorprendente girotondo di destini interpretato da Gioele Dix, Laura Marinoni, Elia Schilton, Sara Bertelà, Roberta Lanave.

“Cita a Ciegas (Appuntamento al buio) è un thriller appassionante – afferma la regista – un avvincente intreccio di incontri apparentemente casuali dove violenza, inquietudine e comicità serpeggiano dentro rapporti d’amore. E’ il testo di Mario Diament più rappresentato nel mondo: è stato per cinque anni in cartellone a Buenos Aires e in molti teatri in Sud America e negli Stati Uniti; in Europa è stato rappresentato a Parigi, Stoccolma e in Ungheria”.

Un uomo cieco, Gioele Dix, è seduto su una panchina di un parco a Buenos Aires. È un famoso scrittore, ispirato a Jorge Luis Borges, che era solito godersi l’aria mattutina; è a lui infatti che è ispirato il personaggio di Gioele che, insieme a Laura Marinoni (la Donna), Elia Schilton (l’Uomo), Sara Bertelà (la Psicologa), Roberta Lanave (la Ragazza), dà vita a uno spettacolo che svela il gioco del destino che gioca sempre allo stesso gioco. Quella mattina la meditazione dell’uomo cieco viene interrotta da un passante: da qui una serie di incontri e dialoghi svelano legami tra i personaggi sempre più inquietanti, misteriosi e a tratti inaspettatamente divertenti.

E’ stato un vero e proprio colpo di fulmine per la regista Andrée Ruth Shammah: Diament è uno scrittore interculturale, un emigrato e un esule che scrive della e sull’Argentina, l’identità e l’isolamento: “Cita a ciegas è un testo che richiede di andare dentro la vita – dice Andrée Ruth Shammah – l’abilità sta nel trasformare tutte quelle cose che non sono visibili, tangibili, che non hanno corpo, come i pensieri, le intenzioni del personaggio, in qualcosa di concreto, riconoscibile nei corpi, nell’intonazione. Bisognava trovare il modo di rivelare tutto quello che non si dice. Lo scrittore cieco, in cui è facile riconoscere il celebre Borges, parla delle realtà parallele, dei due mondi, fa teoria, ma parla di sé, della sua realtà. Quando non vedi, vedi altre cose, dunque c’è un’altra realtà e lui la abita nella sua cecità, che lo rende intuitivo”.

“Non bastava tradurre il testo dall’inglese – interviene ancora la regista – ho confrontato le varie versioni rappresentate nel mondo, le varie traduzioni in diverse lingue e poi ho rimesso insieme i pezzi. Cita a ciegas è stato ra

ppresentato ovunque. Mario Diament, che io amo chiamare “Diamante Diabolico”, ha costruito questa storia con un rigore assoluto, in un insieme di rimandi, coincidenze. Costruisce un meccanismo perfetto, un mondo che prende forma al di là delle parole, della pagina. Volevo sottolineare questa capacità del testo di andare dentro la vita e oltre la realtà”.

In scena c’è una panchina e di fronte a essa, dove il tempo determina giorni e stagioni, frammenti di vita. Lì è seduto il Cieco, il testimone attorno al quale la regia spinge da subito i personaggi che si raccontano attratti dal suo silenzio; lui, lo scrittore, che presta il suo corpo cieco all’avvicendarsi di racconti che denunciano lo stesso irrinunciabile desiderio. Panchina e testimone sono una sola cosa. Quello che deve succedere viene svelato come se non succedesse nulla oltre ai pensieri che si pensano. L’atmosfera è quella di una lunga meditazione. Andrée Ruth Shammah, oltre alla regia, ha curato anche la traduzione e l’adattamento.

Tutto può accadere dietro alle apparenze e nulla ha veramente importanza. Dare vita a cose destinate a essere buttate via, popolare un mondo fatto di pensieri che si ripetono. Fino a che il muro dietro alla panchina si apre come un libro: la panchina si sdoppia in un interno dove due donne si affrontano, tra verità e finzione accennate. La traduzione dallo spagnolo è di Maddalena Cazzaniga, le scene sono di Gian Maurizio Fercioni, i costumi di Nicoletta Ceccolini, le luci di Camilla Piccioni, le musiche di Michele Tadini.

“Per certi versi – riflette la regista – questa storia è anche, insieme, un elogio e un monito alla potenza dell’immaginazione che ci può portare altrove, in mondi paralleli, ma bisogna stare attenti a dove ci lasciamo condurre. Per questo, il muro alle loro spalle si apre e si richiude proprio come fosse un libro. Come se fosse il confine tra l’immaginazione e la realtà, quella realtà da cui un po’ tutti i personaggi tentano di fuggire e che può metaforicamente schiacciarli, richiudendosi”.

Siamo di fronte a una messinscena che non ha segreti da celare: lascia intuire un profondo, irrinunciabile rispetto per le diversità, rese simili da un destino che le unisce, una ruota che gira senza sosta. Ritorna la panchina, come all’inizio. E ci si domanda se l’uomo sia capace di arrivare a se stesso senza dover passare da montagne gelate, percorsi perversi, anni impietosi che annunciano la vecchiaia. Un inno al potere del teatro.

“Lavorare a Cita a ciegas è stata una vera e propria indagine nella psiche umana. Non volevo far vedere – spiega Andrée Ruth Shammah – un unico aspetto dei personaggi, dar loro un solo colore senza mostrarne le sfumature. È per questo che mi sono divertita anche a giocare con i colori dei loro costumi. Un colore esce e ne segue un altro che poi ritorna con una lieve differenza di tonalità. Tutti i personaggi hanno una ferita interiore e le loro azioni, anche le più abiette e pericolose, hanno delle motivazioni profonde, nascono da quella ferita. Ho tentato di dare loro una chance, una possibilità di riscatto”.

“Credo che questa storia sia molto vicina alla nostra esperienza quotidiana. Guardando lo spettacolo, chiunque può sentire in qualche modo che questa vicenda lo riguarda. In molte affermazioni e riflessioni dei personaggi si può intravedere qualcosa di sé, qualcosa in cui riconoscersi”, conclude la regista.

Una produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana.

Mai in Silenzio: consigli live per partecipare al concorso!

Scade il 5 maggio prossimo l’iscrizione gratuita al concorso “Mai in Silenzio – La musica contro la violenza di genere” rivolto ad artisti toscani under 35.

In giuria, fra agli altri, Dario Brunori e Irene Grandi. Ai vincitori la possibilità di realizzare produzioni musicali e concerti ad iniziare dal Meeting dei Diritti Umani 2018 al Mandela Forum di Firenze. Il progetto è realizzato dall’emittente Controradio con il sostegno di Regione Toscana e il contributo di SIAE e Unipol.

Vi proponiamo un approfondimento con consigli utili per chi vuol partecipare ma non ha mai riflettuto su questa tematica o sulle prevaricazioni e distorsioni dei rapporti, intimi, affettivi, amicali, sociali, anche dal punto di vista del linguaggio.

Intervista alla prof. Eleonora Pinzuti, italianista, esperta di linguaggio di genere e formazione nell’ambito della Diversity e delle iniziative paritarie.

Una volta si chiamavano sceneggiati

Scrivere di serie tv?

“Già ne parli sempre, e poi ai nostri ascoltatori piacciono e interessano.”

Beh, si, l’argomento è divertente e sicuramente interessante però vasto, enorme… Ma ok, d’accordo. Accetto la sfida dei colleghi della redazione! Ma da dove partire? Come cominciare? Da una decina di anni a questa parte le serie tv sono il fenomeno più importante dell’intrattenimento di massa. Un fenomeno sociale e culturale che ha letteralmente monopolizzato il mondo televisivo, scardinando regole, linguaggio e formule dell’industria della fiction. Certo, parlare di “televisione” è sbagliato, o quantomeno riduttivo, le serie infatti non si seguono più esclusivamente sul tubo catodico con attese scadenze settimanali, come ai tempi di “L’Amaro Caso della Baronessa di Carini” o di “Spazio 1999”, anzi, potreste anche non possederlo più il “piccolo schermo”; ormai le serie tv si scaricano sui vari dispositivi, si seguono in streaming, lo si fa sui canali via cavo, a pagamento o su piattaforme più o meno specializzate. Si possono seguire in contemporanea con la messa in onda in prima visione, in lingua originale o sottotitolate o si può aspettare più comodamente la versione doppiata (anche se la scuola dei doppiatori italiani non è più all’altezza dei tempi d’oro). Si possono programmare in base ai nostri orari e tempi, insomma la vecchia cara televisione non è strettamente necessaria. Attorno alla produzione delle serie, una vera, enorme industria, esistono siti, blog e rubriche che settimanalmente inondano di notizie, anteprime sulle trame, gossip sui protagonisti. Quello che forse è bene sottolineare sin da subito per i più scettici, o per i meno introdotti all’argomento, è che ormai le serie televisive sono davvero un “prodotto di qualità” anzi, sono IL prodotto di qualità, visto che godono di più impegno, più investimenti e più sforzo creativo rispetto alla tradizionale industria cinematografica. Produttori, attori, sceneggiatori, registi e fotografi sono gli stessi che si alternano per le produzioni sul grande schermo. Sempre più frequente incontrare i big di Hollywood in una serie televisiva, magari nei ruoli di attori principali. Diversamente dagli anni settanta o ottanta quando le star in declino del grande schermo decidevano di “arrivare alla pensione” svernando in qualche sceneggiato televisivo oggi la partecipazione ai serial è un vezzo, o un obiettivo fortemente desiderato. Un esempio per tutti? La serie tv targata HBO True Detective. La prima (bellissima) stagione andava in onda nel 2014 (inferiore la seconda, stiamo aspettando con trepidazione la terza) ed era interpretata magistralmente da due attori molto noti come Matthew McConaughey e Woody Harrelson (visto recentemente agli Oscar nel pluripremiato “Tre manifesti a Ebbing Missouri”). La storia? In una umida e assolata Lousiana tra atmosfere sospese e inquiete due poliziotti dal carattere assai diverso sono alle prese con un efferato omicidio rituale. Una recitazione al limite della perfezione, dialoghi in continuo dibattito tra apocalittico e nichilista, una vicenda delittuosa cui si sovrappongono quelle umane, una fetta d’America, quella ai margini dell’American Dream, bikers violenti, predicatori evangelici, città di roulotte, una fotografia della “white trash” americana punteggiata da una superba soundtrack.

E’ la incredibile capacità di fotografare (al di là della narrazione della storia specifica) la civiltà contemporanea una delle caratteristiche principali delle più riuscite serie televisive contemporanee, e spesso la chiave per farlo è quella del thriller, dell’horror, della distopia, sentimento della paura e dell’inquietudine. E se per molti anni il genere horror in tv ha avuto scarsa fortuna, rimanendo confinato agli appassionati delle produzioni “di genere”, oggi è uno dei formati prediletti per raccontare la nostra società. Vampiri, streghe, zombie sono strumenti per indagare l’inconscio dell’uomo moderno. Una nuova prospettiva per descrivere la società contemporanea e le sue pulsioni più remote. Una serie su tutte? The Walking Dead (fulminante l’esordio, attualmente alla ottava -stanca- stagione per la Fox). Una serie televisiva di qualità sugli Zombie? Possibile? Si, certo, in The Walking Dead una società, ormai distrutta e invasa da orde di creature fameliche, che non è più’ quella che conosciamo, lontano dalle sicurezze e dalla forme organizzate di convivenza i superstiti dovranno destreggiarsi per sopravvivere e convivere con nuove regole e ahimè nuovi valori morali, perchè come disse un comune amico anni fa, Francesco Carpa Carpini “nella società statunitense per scovare l’umano, una qualsiasi traccia di vita interiore, bisogna scavare nei meandri di galere, manicomi, ospedali, ghetti… nella quotidianità wasp oramai non c’è vita da decenni. Zombificazione di massa. Psicofarmaci, etilismo, alienazione”. E Infatti gli zombi vanno alla grande.

Alla prossima puntata.

Giustina Terenzi

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