Eddie 9V, “Capricorn”. Disco della settimana

Tra Southern Soul e R&B, Capricorn, l’album appena uscito di Eddie 9V prende il nome dai Capricorn Studios di Macon, in Georgia, lì dove hanno registrato Otis Redding e la Allman Brothers Band. Capricorn segue Little Black Flies, votato tra i 20 migliori album del 2021 da Blues Rock Review.

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“Venendo da un disco di puro blues, volevo mostrare alla gente che siamo più di questo”, dice Eddie. “Ascoltavo le produzioni dei Muscle Shoals e soul, molta musica registrata anche al Capricorn alla fine degli anni ’60. Quindi abbiamo passato molto più tempo a creare le nuove melodie. Per la scrittura di ogni canzone abbiamo impiegato una settimana, invece di cinque in una notte come fu per Little Black Flies.”

Nato nel giugno 1996, Brooks Mason ha ricevuto la sua prima chitarra all’età di sei anni. Presto scoprì di essere molto più interessato ad ascoltare e imparare da artisti come Sean Costello, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Freddie King o Rory Gallagher che non la musica pop che era in voga tra i suoi compagni di classe. All’età di 15 anni lasciò la scuola e iniziò a suonare in cover band, andando a guidare il suo gruppo come Eddie 9 Volt.

Fin da giovanissimo Eddie aveva provato una grande ammirazione per i mitici Capricon Studios, fondati nel 1969 a Macon, in Georgia, dove avevano registrato nomi come The Allman Brothers, Marshall Tucker, Johnny Jenkins, Percy Sledge o Bonnie Bramlett tra molti altri. Dopo aver pubblicato due album, il sogno di Eddie si è avverato in questo terzo album che è stato registrato presso i Capricon Studios.

Secondo lo stesso Eddie, lo studio non è cambiato affatto dalla sua fondazione e l’atmosfera che si respira comunica tutto il feeling dei grandi artisti che hanno immortalato la loro arte tra quelle quattro mura, contagiando Eddie e tutti i musicisti che hanno partecipato a questo album. Fin dal primo momento in cui hanno messo piede in studio, facendoli sentire totalmente intrisi e identificati con lo spirito della musica che è stata registrata in quegli anni leggendari. Un totale di undici canzoni proprie completano un album che riflette la magia di una musica che mette in luce tutta la conoscenza e le enormi possibilità di Eddie 9V, interpretata da un vero ‘killer’ alla chitarra e alla voce insieme a un grande gruppo di ottimi musicisti.

“Capricorn”, di Eddie 9V, è il nostro Disco della settimana.

Disco della Settimana: Nathaniel Rateliff & The Night Sweats (LINK ASCOLTO)

Pubblicato dalla leggendaria Stax Records è appena uscito Tearing at the Seams, l’atteso nuovo album di Nathaniel Rateliff & The Night Sweats.

Nathaniel Rateliff & The Night SweatsAnticipato dal singolo You Worry Me, Tearing at the Seams segue la scia dell’omonimo album di debutto, vincitore del disco d’Oro negli Stati Uniti, Belgio, Svizzera e Paesi Bassi, del disco di Platino in Canada e del disco d’Argento nel Regno Unito.

Racconta Rateliff: “Per il primo disco, ho creato e provato la maggior parte dei brani. Questa volta sentivo che avevamo tutti trascorso così tanto tempo in tour che dovevamo fermarci e andarcene da qualche parte insieme. È un’esperienza che avremmo dovuto fare tutti insieme”.

Tearing at the Seams  è dunque un disco d’insieme, composto e registrato dall’intera band a Rodeo, nel New Mexico. Aggiunge Rateliff sul nuovo album: “Voglio, e ho bisogno, che tutti si sentano parte di questo gruppo. Voglio che si sentano di contribuire artisticamente ed emotivamente alla scrittura e alla creazione di questa musica. Tutti noi abbiamo dovuto fare dei sacrifici per entrare a far parte dei The Night Sweats e voglio che tutti sappiano che ne è valsa la pena”. Grazie al produttore Richard Swift, che aveva già curato il loro album di debutto e in precedenza i lavori di The Shins e Foxygen, il gruppo ha creato un album intenso ed emotivo.

Negli ultimi due anni la band, di base a Denver, si è esibita come headliner nei maggiori festival mondiali, inclusi Coachella, Bonnaroo, New Orleans Jazz Fest, Newport Folk Festival, Glastonbury, Monterey International Pop Festival e molti altri. La band si è anche esibita in alcuni dei programmi televisivi di maggiore successo quali The Tonight Show starring Jimmy Fallon (due volte), The Late Show with Stephen Colbert, Jimmy Kimmel LIVE!, CONAN, The Late Late Show with James CordenAustin City Limits e A Prairie Home Companion. Recentemente ha anche pubblicato il suo primo album live, intitolato Live at Red Rocks, con la collaborazione della Preservation Hall Jazz Band. Il singolo “S.O.B.” ha vinto il disco di Platino negli Stati Uniti e in Canda, e il disco d’Oro in Svizzera.

Qui puoi ascoltare l’intero album:

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats sono: Rateliff (voce, chitarra), Joseph Pope III (basso), Patrick Meese (batteria), Luke Mossman (chitarra), Mark Shusterman (piano), Andy Wild (sassofono), Scott Frock (tromba) e Jeff Dazey (sassofono).  www.nathanielrateliff.com  www.facebook.com/nathanielrateliff

Così accoglie l’album Roots Highway:

Di un fatto può stare certo Nathaniel Rateliff: la mossa di reinventarsi artisticamente attraverso il connubio con The Night Sweats e di capovolgere così l’impostazione musicale sino ad allora inseguita come autore è stata vincente. Lo hanno dimostrato, in questi tre anni seguiti alla pubblicazione dell’omonimo album del 2015, il successo di pubblico sulle due sponde dell’Atlantico, i dischi d’oro, i concerti sempre più affollati e una formula sonora che grazie alla recente uscita del doppio dal vivo Live at Red Rocks ha confermato la sua forza di attrazione. Di tutti i “visi pallidi” alle prese con la rielaboraizone dei canoni classici della canzone soul e r&b che fu della Stax e degli studi di Muscle Shoals, Rateliff ribadisce di essere il più attento al groove e alla passionalità, evitando di lavare il sound del gruppo, semmai mantenendolo saldo dentro i binari dell’elettricità d’annata.

Tearing at the Seams è il naturale secondo tempo di questa storia, ancora prodotto con Richard Swift e ancora imbevuto di atmosfere sudiste, ballate country soul e bassi pulsanti, magari senza il mordente di un singolo piacione come S.O.B., ma sostenuto da una cooerenza interna e anche da una maturazione degli arrangiamenti che tutto sommato lo rende il disco della definitiva consacrazione. Qualcuno, statene certi, lo troverà un ripiego o una semplice ripetizione, ma superati i fuochi d’artificio di Shoe Boot, con il suo grasso battere ritmico, e Be There, accoppiata iniziale che non ci fa sentire orfani del lavoro precedente, Tearing at the Seams cresce sulla distanza e costruisce una parte centrale e una coda dove un senso del classico, in fatto di melodie e commistioni rock & soul, promuove a pieni voti la proposta di Nathaniel Rateliff. Egli stesso afferma di avere voluto un coinvolgimento maggiore di tutta la band nella stesura dei brani, assemblati in uno studio di Rodeo, nel New Mexico, con una carica emotiva che li portasse in una direzione unica.

Ed è un po’ l’effetto evidente di questa miscela di chitarre swamp e fiati soul, di tastiere dal timbro caldo e southern, con la sezione ritmica di Joseph Pope III (basso) e Patrick Meese (batteria) in risalto e i ricami di Luke Mossman (chitarre) e Mark Shusterman (piano) dietro la voce rovente di Rateliff. Il quale eccelle, non c’è partita, nei tempi medi e in quelle ballad dove l’espressività salvifica di matrice gospel sudista meglio si può esprimere: si comincia con A Little Honey ed entrano in circolo le “good vibrations”, con quel taglio sixties e intramontabile nelle melodie, fra il dondolio irresistibile di Say It Louder e le venature country pastorali alla The Band (da sempre un punto di incontro fra bianco e nero dell’american music) di Hey Mama e Babe I Know.

Il funkeggiare paffuto di Intro, in concomitanza con la successiva Coolin’ Out, torna all’amata epopea della Stax, prima che Baby I Lost My Way (But I’m Going Home) gigioneggi un po’ con un soul blues in minore che sembra portare nel cuore personaggi come Bobby Blue Bland, mentre You Worry Me cerca persino il singolo furbesco che possa fare la sintesi fra vecchio e nuovo. Il finale riporta in quota il tormento soul dei Night Sweats con gli struggimenti guancia a guancia di Still Out There Running, semplice quanto efficace nella progressione circolare del brano, ma soprattutto con l’intensità dell’interpretazione dello stesso Nathaniel Rateliff in Tearing at the Same, title track posta in chiusura a rappresentare degnamente il climax del disco.

Così se ne parla su Rockol:

Il marchio Nathaniel Rateliff & The Night Sweats ha visto la luce relativamente di recente, i ragazzi che lo costituiscono non sono proprio di primo pelo. La loro guida, il barbuto e paffuto Nathaniel, ormai va per i quaranta. Data la bravura sono riusciti a colpire il centro del bersaglio già con l’eponimo album d’esordio uscito nel 2015 e da allora non si sono più fermati. Forse per non vedersi scivolare via dalle mani il buon livello di notorietà raggiunta? oppure perché quella del suonare è la strada che meglio conoscono e che meglio li rappresenta? Chi lo può dire? Qui si impone l’apertura di una breve parentesi: quando si fa cenno al buon livello di notorietà raggiunta si intende negli Stati Uniti, in misura minore in Europa. Quindi, si diceva, dal primo disco, a cadenza annuale, la band non ha mancato di pubblicare un lavoro. Nel 2016 l’EP “A little something more from”, nel 2017 l’album dal vivo (ambito in cui si trovano particolarmente a loro agio) “Live at Red Rocks” e, infine, nel 2018 “Tearing at the seams”.

E’ un disco importante questo “Tearing at the seams” per Nathaniel e i suoi ragazzi. Tutti i dischi sono importanti, però il secondo, in genere, lo è in modo particolare. In questa seconda raccolta di inediti non si naviga al riparo di un bacino artificiale dove non ci sono onde anomale – come è accaduto con l’EP e l’album live – con la registrazione in studio di nuovo materiale non si scherza, si esce in mare aperto, si vanno a sfidare le charts, il pubblico, la critica e ci si misura con se stessi, con le proprie capacità. Questo concetto è molto chiaro nella testa del frontman ed è per questo che ha motivato la truppa dichiarando: “Dopo tutto questo tempo in tour sentivo che dovevamo fermarci e andarcene da qualche parte insieme. E’ un’esperienza che avremmo dovuto fare tutti insieme. Voglio, e ho bisogno, che tutti si sentano parte di questo gruppo. Voglio che si sentano di contribuire artisticamente ed emotivamente alla scrittura e alla creazione di questa musica. Tutti noi abbiamo dovuto fare dei sacrifici per entrare a far parte dei Night Sweats e voglio che tutti sappiano che ne è valsa la pena”.

Parole che se non raggiungono i vertici drammatici del discorso tenuto alla sua squadra nello spogliatoio dall’allenatore Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica”, poco ci manca. Rateliff non ha speso le sue parole invano, “Tearing at the seams” è un buon album e la band è al suo meglio. Un combo di otto persone ottimamente amalgamato, quel che si dice: una vera band. Un viaggio che parte ottoni spiegati e in resta con la sabbiosa e sudista “Shoe boot” che si fonde senza soluzione di continuità nella successiva “Be there”. “A little honey”, come suggerisce il titolo, maneggia l’amore e il soul. Le sonorità rimandano agli anni sessanta. “Say it louder” e ancora più “Hey mama” rallentano il ritmo e si spingono verso lidi più cari al country, ma sono solo episodi. “Intro” è cugina di un qualche grado della “Land of 1000 dances” di Wilson Pickett. La temperatura ora è decisamente calda, l’atmosfera è decisamente soul, la band fa a gara a mostrare la propria qualità e ci si accorge che la qualità della voce di Rateliff è di primissimo piano. Con “Baby I lost my way (but i’m going home)” si rimane ben ancorati agli anni sessanta con il suo incedere surf. Il finale è dedicato a “You worry me”, il primo singolo dell’album, la vespertina “Still out there running”, il congedo è affidato alla amara title track.

“Tearing at the seams” è prova onesta fino all’osso, non c’è trucco e non c’è inganno. Onesta come la voce di Nathaniel Rateliff e la musica dei suoi Night Sweats. Sta a voi decidere se prendere o lasciare. La Stax che li ha sotto contratto li ha presi, qualcosa suggerisce lo si debba fare pure noi.

 

 

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