Collisione navi, Greenpeace: da satellite idrocarburi su 100km quadrati

Greenpeace afferma che le immagini satellitari, ottenute dal Satellite Sentinel, sulla collisione delle navi a nord della Corsica, nel Santuario dei cetacei, “mostrano che la contaminazione da idrocarburi interessa ormai oltre 100 chilometri quadrati”.

Greenpeace afferma che ha fatto una elaborazione su immagini satellitari che mostrano come “l’area interessata dalla contaminazione è passata dai circa 88 chilometri quadrati dell’8 ottobre ai 104 chilometri quadrati di ieri, 9 ottobre”.

“Questo è l’ennesimo disastro che si verifica nel Santuario dei Cetacei – osserva il direttore delle Campagne di Greenpeace Italia Alessandro Giannì – Recuperare gli idrocarburi dispersi è impossibile e se non si mettono a punto meccanismi efficaci per prevenire simili incidenti il Santuario dei Cetacei sarà sempre a rischio. È evidente che questo incidente tra il portacontainer Virginia e il traghetto Ulysses, a circa trenta chilometri a nord ovest di Capo Corso, poteva essere evitato”.

“Il sospetto che sulla plancia del traghetto Ulysses non ci fosse nessuno – prosegue il direttore – è assolutamente fondato e un meccanismo di controllo delle rotte che si applichi almeno alle grandi imbarcazioni avrebbe potuto prevenire quest’incidente”.

“Dopo la Costa Concordia, la perdita di bidoni con sostanze pericolose al largo della Gorgonia, il naufragio del cargo turco Mersa 2 sull’Isola d’Elba – ricorda Giannì – quest’ennesimo incidente ci conferma che il Santuario oggi è indifeso.”

“Chiediamo al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, di dare finalmente concretezza, con i suoi colleghi di Francia e Monaco/Montecarlo, al Santuario dei Cetacei – conclude Giannì – che evidentemente, per ora, è solo un Santuario virtuale”.

Greenpeace riferisce che le prossime ore, potrebbero essere decisive per l’evoluzione di questo disastro. Inoltre, riporta l’organizzazione: “secondo quanto si apprende da fonti stampa francesi, si potrebbe trattare del rilascio di varie centinaia di tonnellate di combustibile Ifo (Intermediate Fuel Oil), una sostanza più leggera del bunker (combustibile semisolido), con un livello di tossicità acuta definito ‘medio’, ma con elevato livello di rischio per imbrattamento (a causa dell’elevata viscosità) e con elevata persistenza”

“Fino ad ora le condizioni meteo sono ottimali, ma tra ventiquattro ore nella zona sono previste onde di due metri. Ciò potrebbe comportare non solo una notevolissima, ulteriore, dispersione degli idrocarburi fuoriusciti dalla portacontainer Virginia, ma anche rendere difficoltosa l’operazione di separazione delle due navi. In condizione di mare agitato, peraltro, le due navi potrebbero subire danni ulteriori con conseguenze pericolosamente imprevedibili”.

 

Greenpeace: Da CocaCola, Pepsi e Nestlè la plastica che uccide gli oceani

Appartengono a Coca-Cola, PepsiCo e Nestlé la maggior parte dei contenitori e imballaggi usa e getta identificati nel corso di 239 attività di pulizia e catalogazione dei rifiuti – brand audit – condotti in 42 Paesi e sei continenti daBreak Free From Plastic, la coalizione internazionale di cui fanno parte più di mille organizzazioni, tra cui Greenpeace.

Intervista con Chiara Campione, Responsabile delle Corporate and Consumers Unit Greenpeace

Greenpeace azione dimostrativa: due balene di fronte al Pantheon

Greenpeace, questa mattina di fronte al Pantheon, ha montato due balene che emergono da un mare di rifiuti di plastica. “È necessario che i grandi marchi si assumano le proprie responsabilità”.

Azione dimostrativa di attivisti di Greenpeace che hanno montato, questa mattina in pieno centro a Roma, di fronte al Pantheon, una riproduzione a grandezza naturale di due balene alte rispettivamente 6 e 3 metri che emergono da un mare invaso da rifiuti in plastica monouso, per denunciare come i nostri mari, e le specie che in essi vivono, siano in grave pericolo a causa dell’uso smodato di plastica usa e getta e dell’inquinamento che ne deriva.

“È necessario che i grandi marchi” che producono plastica monouso “si assumano le proprie responsabilità di fronte a questo grave inquinamento, partendo dalla riduzione dei quantitativi di plastica usa e getta immessi sul mercato”, rileva Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

Tra maggio e giugno, grazie al contributo dei suoi volontari, Greenpeace Italia ha organizzato in sette spiagge italiane: Bari, Napoli, Trieste, Palermo, Fiumicino, Chioggia e Parco Regionale di San Rossore, la raccolta e la catalogazione dei rifiuti in plastica per categoria merceologica (imballaggi per alimenti, igiene domestica o personale), tipologia di plastica (polimero) e, laddove possibile, marchio di appartenenza. I risultati sono contenuti nel rapporto “Stessa spiaggia, stessa plastica” diffuso oggi dall’organizzazione ambientalista.

I risultati, seppur limitati ad un numero ristretto di spiagge, “evidenziano come la plastica rappresenti la tipologia di rifiuto più presente sia in ambienti fortemente antropizzati che in aree protette”, rileva la ong “Infatti, i risultati del rapporto mostrano particolari criticità sia a Bari, dove sulla spiaggia cittadina di Pane e Pomodoro sono stati raccolti 1.200 litri di polistirolo, ovvero circa il 65 percento del volume totale di tutti i rifiuti in plastica raccolti; sia sulla spiaggia situata in prossimità della foce del fiume Serchio, all’interno del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, dove sono stati raccolti più di 4.700 litri di plastica, ovvero circa il 60 percento del volume totale di rifiuti raccolti”.

Di tutti i rifiuti in plastica raccolti, spiega Greenpeace “proprio i contenitori e gli imballaggi per alimenti e bevande sono risultati complessivamente i più abbondanti (circa il 90 percento del totale) e costituiti dai polimeri comunemente utilizzati per produrre gli imballaggi: Polipropilene (PP), Polietilene ad alta densità (HD-PE) e bassa densità (LD-PE), il Polietilene Tereftalato (PET) e Polistirolo”.

“Nella lotta intrapresa all’uso della plastica, istituzioni, cittadini e aziende devono fare fronte comune”. Lo dichiara il ministro dell’Ambiente Sergio Costa commentando l’iniziativa di Greenpeace e osservando che “la plastica inquina il nostro pianeta, in particolare i nostri mari, rendendo impossibile la vita delle specie che li abitano”.

“Noi faremo la nostra parte lavorando per vietarne l’uso negli uffici pubblici “, spiega il ministro “Occorre però un coinvolgimento più ampio, con campagne di sensibilizzazione rivolte ai singoli cittadini, affinché ognuno comprenda quanto prezioso può essere il contributo derivante dalle piccole azioni quotidiane. E serve coinvolgere maggiormente anche le imprese” conclude Costa “che devono diventare i nostri primi alleati nel passaggio, sempre più necessario, a un modello di economia circolare”

Nel Mediterraneo microplastica come nei vortici del Pacifico. Serena Maso

Lo dice una nuova ricerca di Greenpeace, CNR – ISMAR e UNIVPM. Nelle acque marine superficiali italiane si
riscontra un’enorme e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord
Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti
(Foggia). Parla la responsabile Mare di Greenpeace Italia.

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