Alluvione Livorno: rinvio a giudizio per Nogarin

La procura di Livorno ha chiesto al gip di rinviare a giudizio Filippo Mogarin, ex sindaco di Livorno per l’inchiesta sull’alluvione del 10 settembre 2017. “Per certi versi sono sollevato: finalmente sarà un giudice terzo e dunque indipendente a valutare i fatti e i documenti e ad esprimersi sul mio operato”, così commenta l’ex primo cittadino. “Perché tutti i cittadini di Livorno – aggiunge – hanno il diritto di avere giustizia. E io continuo a credere profondamente nella giustizia”.

L’inchiesta è stata aperta il giorno dopo l’improvvisa ondata di maltempo che ha colpito la città di Livorno. Notevoli sono stati i danni causati dai tre torrenti ‘tombati’. Le case adiacenti ai corsi sono state invase da acqua, fango e detriti. I morti sono stati 8 tra le quali Filippo, un bimbo di 4 anni, i suoi genitori e il nonno.
Le indagini, inizialmente contro ignoti, nel gennaio 2018 hanno portato al coinvolgimento di Nogarin, all’epoca sindaco di Livorno. I pm della procura livornese, guidata dal procuratore Ettore Squillace Greco, lo avevano interrogato in merito alla vicenda, così aveva rivelato sul suo profilo Facebook. Nel dicembre dell’anno scorso era giunto l’avviso di chiusura delle indagini a cui sono seguiti altri accertamenti richiesti dai due indagati.

Elba: Viceprefetto arrestato, sospettato capeggiare banda con boss

Ruotavano intorno alle figure del viceprefetto reggente dell’Isola d’Elba, Giovanni Daveti, 66 anni, e a Giuseppe Belfiore, 61 anni, più volte arrestato per associazione di stampo mafioso ed esponente di spicco di un clan della ‘ndrangheta, entrambi finiti in carcere, l’associazione a delinquere, disarticolata oggi dalla Guardia di finanza livornese coordinata dal procuratore capo Ettore Squillace Greco, finalizzata alle frodi fiscali e ad altri gravi reati.

In particolare, gli approfondimenti investigativi, spiega una nota delle fiamme gialle, “hanno consentito di rilevare l’attività illecita posta continuativamente in essere da un gruppo criminale, costituitosi a Livorno per commettere frodi fiscali”. Altre sette persone coinvolte sono finite agli arresti domiciliari e tutte le misure cautelari sono state disposte dal Gip del Tribunale di Livorno.

Belfiore è il fratello del mandante dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia avvenuto nel 1983 e risulta affiliato a una delle più note cosche di ‘ndrangheta operanti nel territorio piemontese e, più in generale, nel centro-nord Italia e all’estero (soprattutto Francia e Spagna. Le altre persone arrestate sono un commercialista torinese di 50 anni, due livornesi di 41 anni e 53 anni, tre persone originarie della provincia di Ravenna e un trentottenne di Trani (Bari). I due capi dell’organizzazione e gli altri sette arrestati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere, porto abusivo di esplosivi detenuti per compiere un atto di intimidazione, indebita compensazione di debiti tributari con crediti inesistenti, contrabbando di 9 tonnellate di tabacchi lavorati esteri e illecita sottrazione al pagamento delle accise sugli alcolici, anche mediante falso in documenti pubblici informatici.

Per la Guardia di finanza il viceprefetto, ritenendosi vittima di una truffa immobiliare, avrebbe pianificato con un amico livornese una “vendetta”, dando incarico a un complice di reperire l’esplosivo da usare contro la vettura di famiglia del suo presunto truffatore. Gli ordigni furono intercettati dalle fiamme gialle il 16 novembre vicino al porto livornese in un’auto con a bordo uno degli indagati, arrestato e ancora ai domiciliari: 4 cariche confezionate in modo da essere fatte brillare a distanza con un telecomando.

I finanzieri indagando hanno scoperto che le presunte condotte illecite del viceprefetto, il quale risulta coinvolto “in plurimi contesti illeciti, comunque in alcun modo risultano connessi con il ruolo e le funzioni istituzionali ricoperte”.

Le frodi messe in piedi con questo sistema, spiegano le fiamme gialle, consentivano “di immettere sul mercato dell’Ue alcolici senza pagare imposte e quindi drogando il mercato, sotto il profilo del prezzo, e di spartirsi un profitto equivalente alle imposte non pagate”.
La banda è risultata direttamente coinvolta nel traffico di un carico di tabacchi lavorati esteri, pari a 9 tonnellate di sigarette, per valore complessivo di 1,5 milioni di euro, che si accingevano a far entrare di contrabbando dentro un container diretto in Italia e giunto al porto di Livorno.
Il carico, proveniente dalla Guinea Bissau, con scalo a Tangeri (Marocco), e che avrebbe dovuto essere composto da tavoli e sedie in legno, è stato intercettato dalle fiamme gialle e sequestrato.

 

 

Exit mobile version