Jacopo Benassi e il suo “Vuoto” al Centro Pecci di Prato – interviste

“Vuoto” è il titolo della mostra di Jacopo Benassi che apre al Museo Pecci di Prato.

Jacopo Benassi, nato nel 1970 a La Spezia, è un artista che lavora con la fotografia, la performance, la musica e l’immagine in movimento.

Questa sua mostra “Vuoto” curata da Elena Magini raccoglie lavori prodotti in 25 anni di attività.E corona quella ricerca sui temi centrali nella società e nell’arte contemporanee, cioè sul corpo, identità e gender, avviata dalla direttrice del museo Cristiana Perrella prima con la mostra Soggetto Mobile e con Nudi di Ren Hang poi.“Vuoto” occupa il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci e allo stesso tempo esce anche nella città di Prato, grazie a una serie di affissioni pubbliche di grandi dimensioni dedicate alle attività, strumenti, donne e uomini del distretto tessile pratese. Benassi racconta che mentre lavorava al progetto nelle fabbriche “una delle cose che mi ha più colpito è stata la presenza di immagini sacre. Mi aspettavo un legame forte con la politica e invece ho trovato un legame con la religione.

Il mio sguardo si è fermato perciò molto su questo aspetto e poi sul rito del mangiare e sui gesti delle mani, che sono forse le vere protagoniste di queste mie fotografie”.

Non a caso. Infatti il corpo è forse il protagonista principale del lavoro di Benassi.

E ha sempre una presenza molto forte, sia che si tratti di corpo in movimento nelle performance in collaborazione con altri artisti come i Kinkaleri, Sissi e tanti altri, oppure statico negli autoritratti e nei rimandi alla scultura classica.

Forti sono anche proprio le immagini. Infatti Benassi scatta sempre – apposta – col flash,  letteralmente sparando una luce forte e volutamente non naturale sui volti, su i corpi o i particolari che gli interessano.

Con risultati che rimangono fedeli a un’estetica “underground”, comunque alternativa alla patina glossy tipica della comunicazione contemporanea.

E forte infine è anche la presenza proprio fisica delle sue fotografie.

Nella nostra era dominata da immagini digitali postprodotte e smaterializzate, quelle di Jacopo Benassi vanno volutamente in senso “ostinato e contrario”. Grazie alla fisicità prepotente dei soggetti, delle luci, della disposizione delle opere nella mostra.

Fino anche a quella delle cornici – realizzate da lui e spesso volutamente prese a colpi di accetta.

“Vuoto” ci porta fin dentro lo studio di Benassi. Svuotato, spostato e ricreato in mostra.

Allo stesso tempo poi, “Vuoto” come titolo richiama anche il suo desiderio “di mettersi a nudo, tirando fuori da sé tutto, in un percorso di auto-esposizione pubblica”.

E allora: svuotare per ricominciare. Fare il “vuoto” per poi ripartire con più forza. Cioè forse l’augurio più importante, oggi come oggi.

@Margherita Abbozzo.

L’intervista all’artista a cura di Chiara Brilli

https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/Jacopo-Benassi-Pecci.mp3?_=1

 

“Vuoto” di Jacopo Benassi rimane aperto fino al 1 novembre. Tutte le info pratiche qui. Tutte le immagini courtesy Centro Pecci Prato. Quella dell’affissione pubblica è di Margherita Villani, courtesy Centro Pecci Prato.

Interviste alla direttrice del Pecci, Cristiana Perrella e alla curatrice Elena Magini

https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/200908_02_CRISTIANA-PERRELLA-SU-MOSTRA-BENASSI.mp3?_=2 https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2020/09/curatrice.mp3?_=3

Soggetto nomade, fotografia al femminile.

“Soggetto nomade, Identità femminile attraverso gli scatti di cinque fotografe italiane, 1965-1985” ha inaugurato al Centro Pecci . Di cosa si tratta?

Soggetto nomade è il titolo della bella mostra curata da Cristiana Perrella ed Elena Magini. Raccoglie il lavoro di cinque bravissime fotografe italiane. Cinque donne che hanno lavorato nel corso del ventennio compreso tra il 1965 e il 1985.

I loro nomi: Paola Agosti, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Elisabetta Catalano, Marialba Russo.

La mostra rimane aperta fino all’8 marzo (bel tocco!) 2019. E’ bella ed intelligente, e si visita con grande piacere ed interesse.

Per molte ragioni. Intanto, perchè, halleluja, è la prima volta che si possono vedere raccolti insieme lavori di fotografe brave ma tenute ai margini del “canone”. Un canone costruito finora solo in funzione di signori fotografi maschi. Ora si cambia, come del resto annuncia il titolo stesso della mostra, che è ispirato all’importante testo del 1995 Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità, della filosofa Rosi Braidotti.

C’è inoltre il fatto che la mostra è stata costruita elegantemente intorno al tema della soggettività femminile. In anni di enormi cambiamenti sociali.

Anni che hanno visto la conquista di diritti civili  fondamentali come il divorzio e la legalizzazione dell’aborto, e lo svilupparsi impetuoso del femminismo che ha formato la coscienza di donne giovani e meno giovani.

Soggetto nomade esplora come venisse intesa la femminilità tra questi cambiamenti profondi: passando dai ritratti glamour del bel mondo del cinema e della cultura realizzati da Elisabetta Catalano (Roma, 1941-2015), a quelli, straordinari, di travestiti genovesi realizzati da Lisetta Carmi (Genova, 1924).

Insieme a questi ci sono poi gli scatti commoventi sulle manifestazioni del movimento femminista di Paola Agosti (Torino, 1947), che ritraggono la vitalità della meglio gioventù femminile dell’epoca; e i portentosi ritratti di uomini che per un giorno assumono l’identità femminile nel carnevale di piccoli centri della Campania, di Marialba Russo (Napoli, 1947).

Infine, e non poteva essere altrimenti, arriva il pezzo da novanta: Letizia Battaglia (Palermo, 1935). Non ci si stanca mai di vedere le sue celeberrime fotografie di donne e bambine che vivono sulla loro pelle l’orrore della mafia. Donne che devono costruire la loro femminilità in un mondo dominato da ideali di forza bruta.

Quelli di Letizia Battaglia sono ritratti di donne così intensi da colpire veramente al cuore, ogni volta che si vedono. Alle sue donne bastano gli sguardi per chiamarci tutti in causa. Sono fotografie che rifiutano di essere ammansite da qualsiasi esposizione museale. Fotografie che continuano con forza inscalfibile a farci pensare a che cosa voglia dire essere donna in un mondo governato da uomini rozzi. Oggi.

Colonna sonora ideale di Soggetto nomade? Canzone di maggio di Frabrizio De Andrè:

“E se credete ora/che tutto sia come prima/perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina,/convinti di allontanare/ la paura di cambiare,/verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte/ per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.”

Margherita Abbozzo.

Tutte le fotografie sono mie.

Quella in copertina è di Paola Agosti, Manifestazione femminista davanti al tribunale, Roma, aprile 1977.

Info pratiche sulla mostra qui.

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