Prato, inchiesta “finti poveri”: sequestrati 2,5 mln beni Ahmetovic e Halilovic

La corte di appello di Firenze ha ribaltato la decisione del tribunale di Prato. Nel dicembre scorso era stato bocciato il sequestro finalizzato a confisca e ordinato la restituzione dei beni a 14 componenti delle due famiglie residenti in città.

Il patrimonio bloccato viene ritenuto dagli inquirenti pratesi provento di illeciti ed ammonta a un controvalore di circa 2,5 milioni di euro tra case, depositi bancari, libretti postali, polizze vita, gioielli e altri beni. La procura di Prato aveva fatto ricorso in appello per chiedere la sospensione dell’ordinanza con cui il tribunale revocò il sequestro finalizzato alla confisca deciso nel giugno 2017. I beni furono sequestrati nell’ambito dell’operazione della Gdf ‘Finti poveri’ come misura di prevenzione patrimoniale. Le indagini mostrarono una sproporzione tra il valore delle proprietà possedute dalle due famiglie ed i redditi dichiarati, cioè a Isee zero.

Per il tribunale però non c’è nesso fra il possesso di somme così ingenti da parte di famiglie, che formalmente risultano nullatenenti, e i delitti di cui sono accusati molti loro appartenenti. La corte di appello, adesso, dimostra invece di sostenere la linea della procura di Prato.

Lucca: condannato per violenza sessuale, ricercato dal 2016 arrestato a Bruxelles

Un 26enne è stato arrestato in Belgio su un ordine di esecuzione emesso dalla Procura di Lucca a seguito di un’indagine condotta dalla Polizia di Stato. Il giovane deve scontare 5 anni di carcere per una violenza sessuale consumata a Lucca nel 2012 ai danni di una ragazza diciassettenne.

All’epoca l’indagine, condotta dalla Sezione Reati contro la persona della Squadra Mobile, dimostrò che il ragazzo di origine marocchina, amico del fidanzato della minorenne, aveva contattato la vittima e le aveva dato un appuntamento con la scusa di parlare della precedente relazione della ragazza; la convinse a seguirlo in una passeggiata nel bosco, e dopo averla attirata in un capanno, la violentò. Il giovane è stato condannato in via definitiva con sentenza della Corte d’Appello di Firenze nel 2016. Dal giorno in cui la sentenza è diventata definitiva e, dunque, esecutiva,  non è più stato reperibile, rendendosi latitante.

La Squadra Mobile di Lucca ha così avviato le ricerche che hanno permesso di localizzare il 26enne in Belgio e, precisamente, a Bruxelles, dove lavorava come corriere per una ditta di trasporti. L’arrestato è giunto in Italia scortato da personale dell’Interpol a cui è stato consegnato dalla Polizia belga. Il 26enne è stato trasferito nel carcere romano di Rebibbia per scontare la condanna.

Forteto: Mugnai (Fi), nuova condanna a Fiesoli conferma l’esistenza di una setta

“La nuova condanna comminata a Rodolfo Fiesoli per gli orrendi abusi perpetrati ai danni di minori collocati in affido all’interno della comunità Il Forteto del Mugello, in provincia di Firenze, non è che l’ennesima conferma di quanto abbiamo sempre sostenuto anche in ordine all’esistenza di un ”sistema Forteto” e sul fatto quella comunità avesse, come ancora ha, la natura di una setta. Per questo non posso che rinnovare l’invito alla maggioranza Lega e M5S affinché consenta la rapida attivazione della commissione d’inchiesta parlamentare che io stesso ho richiesto calendarizzando la mia proposta di legge”.

Lo afferma il Vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera Stefano Mugnai all’indomani del riconteggio della pena per il leader della comunità Rodolfo Fiesoli da parte della Corte d’Appello di Firenze, un secondo passaggio frutto del rinvio della Cassazione disposto nel dicembre 2017.

“Rodolfo Fiesoli all”interno del Forteto si faceva chiamare ”Il Profeta”. Già questo crea una cornice suggestiva per inquadrare il contesto”, sottolinea Mugnai che segue la vicenda Forteto fin dal 2012 quando, come consigliere regionale della Toscana, ebbe a presiedere la prima commissione regionale di inchiesta quella che portò alla luce il sistema di violenze e abusi praticato all’interno di quella che anche la magistratura avrebbe in seguito bollato come comunità-setta, esprimendo condanne fino al terzo grado di giudizio.

“Questo nuovo pronunciamento da parte della Corte d”Appello fiorentina – commenta Mugnai – cristallizza proprio il ”sistema” laddove qualifica il reato di violenza sessuale di gruppo. Al Forteto esisteva attorno a Fiesoli una sorta di ”cerchio magico” di chi se non abusava favoriva il perpetrarsi degli abusi, o taceva, o girava il capo. Una setta su cui ancora dovremo tanto scavare anche a livello parlamentare. Chiedo che ci si affretti”.

Banca Etruria: azione per risarcimenti Consob a vittime salvabanche 

L’ Associazione Vittime del Salvabanche ha preannunciato con un comunicato che promuoverà “una causa risarcitoria contro Consob, e la società di revisione di Banca Etruria, alla quale potranno aderire i risparmiatori che detenevano titoli di Banca Etruria”.

Questo è avvenuto dopo che “la sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha annullato le multe inviate dalla Consob ad alcuni ex amministratori di Banca Etruria e dimostrato con evidenza il cattivo operato della Consob”.

“Adesso non sarà più possibile ignorare il nesso tra il cattivo operato di Consob e le perdite economiche subite dai risparmiatori di Banca Etruria” sottolinea nel comunicato la presidente dell’associazione, Letizia Giorgianni.

Banca Etruria: Corte Appello, crisi nota a Consob a fine 2013

La Consob sapeva fin dal dicembre del 2013 della gravissima situazione in cui si trovava Banca Etruria, grazie ai documenti e alle informazioni ricevute da Bankitalia, e dunque le sanzioni comminate ad amministratori e sindaci per le supposte mancate informazioni contenute nel prospetto dell’aumento di capitale di fine 2013 sono frutto di un procedimento avviato tardivamente. Con questa motivazione la Corte d’Appello di Firenze ha annullato alcune sanzioni emesse dall’authority di Borsa nel 2017 in relazione alla vicenda Banca Etruria.

La decisione riguarda l’appello presentato dagli ex sindaci di Banca Etruria (Tezzon Massimo, Cerini Paolo, Neri Gianfranco, Polci Carlo) e l’ex amministratore Andrea Orlandi, tutti difesi dall’avvocato Renzo Ristuccia, contro le sanzioni emesse da Consob nel luglio del 2017. E segue una sentenza del tutto analoga con cui lo stesso Tribunale ha annullato un’analoga sanzione verso un altro ex consigliere, Alberto Bonaiuti. La Corte d’Appello ha accolto la tesi di amministratori e sindaci secondo cui la Consob avrebbe esercitato tardivamente il suo potere sanzionatorio, oltre il termine di 180 giorni. Nel motivare la decisione i giudici esaminano le interlocuzioni tra le due authority e contestano la tesi secondo cui la Consob avrebbe avuto solo nel maggio del 2016 “la disponibilità di tre fondamentali documenti” di Bankitalia relativi alla situazione di Banca Etruria (la nota rivolta alla banca del 24 luglio 2012, i rilievi dell’ispezione formulati il 5 dicembre 2013 e la nota inviata direttamente al Presidente Etruria il 5 dicembre 2013). Anche se è vero che Consob non ha ricevuto la nota del 24 luglio 2012 è “documentalmente dimostrato che, ben prima di tale momento” l’authority “era sicuramente venuta a conoscenza di documenti di Banca d’Italia” sullo stato di Etruria “ben più pregnanti e significativi” e dunque tali “da dover costituire il presupposto per le verifiche di sua competenza”.

Inoltre il rapporto ispettivo di Banca d’Italia su Bpel “era sicuramente conosciuto da Consob quantomeno a febbraio 2014” e “Banca d’Italia ha sicuramente trasmesso a Consob i risultati dei propri accertamenti ispettivi del 2013” a inizio dicembre 2013. “Ancora più significativa” è la nota riservata di Bankitalia a Consob del 6 dicembre 2013 in cui Bankitalia dice chiaramente che Etruria non è “più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”, imponendone l’aggregazione con un altro istituto e riservandosi “ogni ulteriore iniziativa ritenuta necessaria ad assicurare condizioni di sana e prudente gestione e a tutelare i depositanti della banca”.

“Di più Banca d’Italia non poteva dire a Consob”, affermano i giudici: “Non era abbastanza per Consob – si chiedono – per cominciare ad indagare sulla trasparenza e veridicità del prospetto dell”offerta al pubblico delle azioni in aumento di capitale che si era avuta nei mesi precedenti?”. Sapendo Consob dal 6 dicembre 2013 che Etruria “era sull’orlo del commissariamento a meno che non si fondesse con una banca più grande – concludono i giudici -, delle due l’una”: se l’authority sospettava che il prospetto dell’aumento di luglio 2013 fosse stato “falso e fuorviante”, avrebbe dovuto “cominciare subito l’indagine”. Se invece avesse accertato che era veritiero “non si poteva irrogare alcuna sanzione”.

Firenze: procura presenta ricorso per gli assolti di Alexandria

La procura generale ha presentato ricorso in Cassazione per gli assolti di Alexandria, accusati di aver celato documenti durante un’indagine, la difesa degli imputati chiede le assoluzioni siano per ‘non aver commesso il fatto’.

La procura generale presso la corte di appello di Firenze, con il sostituto Vilfredo Marziani, ha presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione degli ex vertici di Mps Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gian Luca Baldassarri, dall’accusa di ostacolo alla vigilanza di Bankitalia riguardo alla ristrutturazione del derivato Alexandria, in particolare per aver celato in una cassaforte della banca il contratto ‘mandate agreement’ con la banca giapponese Nomura. Lo riporta il quotidiano La Nazione.

In appello, il 7 dicembre 2017, i tre imputati vennero tutti assolti ‘perché il fatto non costituisce reato’. La decisione ribaltò la sentenza di primo grado che, invece, aveva dato condanne a 3 anni e 6 mesi di reclusione più 5 anni d’interdizione a tutti i tre imputati.

Il pg Marziani aveva chiesto in appello una condanna maggiore, a 7 anni per Mussari, e a 6 anni per Vigni e Baldassarri ritenendo che gli imputati volontariamente non dissero agli ispettori di Bankitalia del contratto.

Tuttavia, anche le difese dei tre imputati hanno presentato ricorso in Cassazione per chiedere che le assoluzioni siano per ‘non aver commesso il fatto’ (e non ‘perché il fatto non costituisce reato’), volendo sottolineare con questa formula assolutoria che non ci fu nessuna volontà degli imputati di nascondere i documenti agli ispettori della Vigilanza.

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