‘Gruppo Politica’, chat che inneggiava a violenza e lotta armata

Siena, lotta armata, anche con richiami alle Brigate Rosse, apologia di regimi sanguinari, volontà di andare a combattere in Donbass, inneggiando al separatismo filorusso e al compimento di atti di guerra in Ucraina Orientale: è quanto sarebbe emerso da una chat, denominata ‘Gruppo Politica’, attiva dall’agosto 2018 sino al maggio 2019, scoperta dai carabinieri di Siena coordinati dal procuratore presso il tribunale dei minori di Firenze Antonio Sangermano.

La scoperta di ‘Gruppo Politica’ è arrivata dalle indagini che sono partite dall’inchiesta su un’altra chat con contenuti pedo-pornografici e razzisti, ‘The Shoah Party’ (letteralmente ‘Il partito dell’olocausto ebraico’), risalente a due anni fa.

In tutto 96 le persone collegate a ‘Gruppo Politica’, prevalentemente minorenni. E sono 5 i minori ora denunciati a vario titolo e in concorso per associazione sovversiva e istigazione a delinquere.

Secondo quanto spiegato dai carabinieri i partecipanti alla chat “sebbene di idee politiche con accenti estremistici anche diametralmente opposte”, erano accomunati da “antisemitismo, discriminazione sessuale e odio razziale” e ritenendo l’uso della forza e della violenza “uno strumento necessario per l’affermazione del pensiero politico”.

Oggetto di particolare attenzione poi “le figure di alcuni utenti” “che hanno reiteratamente espresso la volontà di andare a combattere in Donbass”, alcuni dei quali tra l’altro “hanno evidenziato una buona conoscenza delle armi e dei materiali in uso agli eserciti, specialmente a quello russo, cui hanno unito lo studio del russo”.

In tale contesto, si spiega, “vi è stata condivisione di materiale multimediale del tipo ‘Best Gore’, ovvero filmati concernenti esecuzioni capitali, torture, smembramenti di corpi umani realizzati in teatri di guerra, realizzati ad opera di terroristi appartenenti” all’Isis.

Le indagini comunque hanno permesso “di escludere che tali soggetti abbiano messo in atto tali propositi, e evitato comunque che ciò potesse verificarsi”. L’inchiesta ‘The Shoah Party’ aveva portato alla denuncia di 25 persone di cui 20 minorenni.

A seguito di quell’indagine poi a gennaio scorso già altre 12 persone, per lo più minorenni, erano state poi denunciate per diffusione e detenzione di materiale pedo-pornografico e istigazione a delinquere dopo la scoperta di un’altra chat, denominata ‘Utistici’, nella quale venivano condivisi immagini e video di bambini, anche di piccolissima età, costretti a subire e compiere atti di natura sessuale, e contenuti che esaltavano Adolf Hitler, il nazifascismo e il terrorismo islamico.

Testimoni Inconsapevoli. Alessandro Forlani

La trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro”. Davvero Aldo Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse, perché lo Stato ha seguito la linea della fermezza, rifiutando ogni trattativa? In queste pagine alcuni testimoni diretti raccontano una storia molto diversa. Il 9 maggio 1978 lo statista democristiano doveva essere liberato, a seguito di un accordo. La Santa Sede, infatti, stava per consegnare ai brigatisti un riscatto, mentre la Jugoslavia del maresciallo Tito li avrebbe riconosciuti come interlocutori politici. Il governo italiano era d’accordo, poiché la trattativa passava dall’estero. Perché allora quella mattina i brigatisti, anziché fare loro la vittoria tanto attesa, uccidono l’ostaggio?

Aldo Moro, il giorno del sequestro 40 anni dopo

La riflessione del Segretario del Partito socialista italiano, Riccardo Nencini. Il partito che ai tempi invocò, inascoltato, la trattativa con le Brigate Rosse. Intervista a cura di Raffaele Palumbo

Il sequestro del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo 1978 ad opera delle Brigate Rosse segna il punto più alto della Strategia della tensione e degli Anni di piombo. Dopo 55 tremendi giorni, il cadavere dello statista verrà fatto ritrovare nel bagagliaio di un’auto.

Aldo Moro aveva tentato di salvare gli uomini della sua scorta chiedendone il trasferimento. Ma loro si sono opposti per restargli accanto. Lo rivela la figlia Maria Fida Moro nella terza e ultima parte del video-appello intitolato ‘Adesso Basta’, nel  giorno in cui si ricorda il sacrificio dei cinque uomini della scorta di Aldo Moro – Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, due carabinieri e tre poliziotti – vittime dell’agguato in via Fani il 16 marzo del 1978.

“Immediatamente dopo l’uccisione di papà tutte le scorte sono state rimosse: logico no?! Allora sono successe due cose straordinarie. Il carabiniere che scortava mia madre se ne è andato in pensione ed è rimasto di sua iniziativa per aiutare la mamma. I due giovanissimi carabinieri, che costituivano la scorta di Luca, che erano stati trasferiti altrove in turni e servizi diversi, per anni nel giorno libero venivano gratuitamente a lavorare. E lo stesso hanno fatto due poliziotti e due finanzieri”, racconta la primogenita del leader Dc. “Lo Stato e le sue istituzioni dovrebbero prendere esempio da queste azioni solidali e gratuite invece di escludere in modo assurdo ed ingiusto Aldo Moro, simbolo insanguinato degli anni di piombo, dall’applicazione totale della legge in favore delle vittime del terrorismo”, conclude Maria Fida Moro, ricordando come tuttora la legge per le vittime del terrorismo – n. 206 del 3 agosto 2004 – non sia applicata ad Aldo Moro.

 

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