MPS: manager fa riferimenti sessisti in corso formazione, poi chiede scusa.

Nell’occhio del ciclone è finito lo chief commercial officer di Mps, Pasquale Marchese. “E’ come quando uno deve conquistare una donna, io ci provo con tutte, poi qualcuna ci starà” aveva detto la scora settimana il manager in una call riservata con i colleghi

“Voglio scusarmi con te e con la banca che rappresento per le parole pronunciate durante l’incontro formativo della settimana passata, sicuramente inappropriate e fuori luogo non era mia  intenzione mancare di rispetto alle tante colleghe e ai tanti colleghi con cui ho il piacere di collaborare quotidianamente, né era mia intenzione fare riferimenti di genere”. Lo ha scritto lo chief commercial officer di Mps, Pasquale Marchese, in una mail inviata oggi a tutti i dipendenti della banca dopo le polemiche per le parole sessiste pronunciate durante un corso di formazione tenuto da remoto sulla vendita di prodotti assicurativi.

Le scuse arrivano dopo  che era scoppiata l’ira dei sindacati.  “E’ come quando uno deve conquistare una donna, io ci provo con tutte, poi qualcuna ci starà” aveva detto la scora settimana il manager  MPS in una call riservata con i colleghi riportando quanto gli aveva spiegato un “top performer di un’altra azienda” a cui aveva chiesto come facesse a vendere così tanti prodotti.

Marchese, cercando di smussare, sempre durante il corso di formazione, aveva poi aggiunto: “Vale per le signore come per i signori”. Quanto accaduto ha scatenato le critiche dei sindacati MPS: in un comunicato interno hanno parlato di “deprecabile episodio di mancanza di rispetto e sensibilità nei confronti della professionalità di tutti i nostri colleghi senza distinzione di genere”. “In un solo breve aneddoto sul ‘provarci’, recitato a scopo formativo a una platea di esterrefatte ascoltatrici e ascoltatori da remoto, il nostro educatore di top performer in serie, è riuscito ad affondare codice etico e deontologia professionale, educazione sentimentale e rispetto per il genere femminile” hanno ancora sottolineato i sindacati manifestando “totale disapprovazione” e richiamando il manager “ad attenersi a comportamenti corretti”.

Un richiamo che ha trovato risposta, seppure parziale, nella giornata di oggi quando Marchese ha inviato la  mail a tutti i dipendenti.  “Lo stile della nostra banca è ben diverso, i modelli di riferimento a cui guardare tutti i giorni durante il nostro lavoro devono essere ovviamente diversi” ha aggiunto Marchese che ha poi concluso: “La mia è stata una leggerezza e spero davvero che vorrete accettare le mie più sentite e doverose scuse per questo spiacevole episodio”. Sull’episodio era intervenuta anche Barbara Orlandi del Coordinamento Donne Cgil Toscana: “Il manager del Mps ha sbagliato ed è stato assolutamente utile denunciare le sue parole, purtroppo non saranno ancora le ultime e auspichiamo che altri casi ricevano lo stesso trattamento”.

🎧 Smart Working, CGIL: serve normativa organica, rischio abusi e autosfruttamento

‘Due anni di smart working. L’esperienza delle donne in Toscana’, curata da Sandra Burchi per Ires Toscana e presentata a Firenze alla sede toscana della Cgil, alla presenza della segretaria generale della Cgil Toscana Dalida Angelini, del presidente di Ires Gianfranco Francese e della responsabile del Coordinamento Donne Cgil Toscana Barbara Orlandi

Isolamento, alienazione, legami troppo virtuali, intensificazione del lavoro. È quanto emerge dalla ricerca ‘Due anni di smart working. L’esperienza delle donne in Toscana’, curata da Sandra Burchi per Ires Toscana. La ricerca è stata fatta in due parti, tra luglio e ottobre 2020 (60 donne coinvolte) e tra dicembre 2021 e marzo 2022 con le interviste di follow up alle partecipanti ai focus group della prima parte.

Tra i rischi, è stato spiegato, sono da dividere due settori, quello del lavoro e a casa: a causa dello smart working sul lavoro si registra una “minore socialità, minore cooperazione, minore capacità nei processi organizzativi”, il fenomeno della “fatica da zoom”, ovvero di essere sempre connessi nella piattaforma necessaria per le call. Nella ricerca si evidenzia anche “l’incremento dei dispositivi di controllo e la difficoltà nel rispetto e definizione dei tempi reali di lavoro”. A casa c’è il rischio “di una conciliazione semplificata, dal lavoro di cura alla cura del lavoro”.

La Cgil mette in luce anche alcune opportunità dallo smart working come “facilitare l’adozione di orari e modelli di lavoro individualizzati che includono il concetto di fasce orarie, raggiungimento degli obiettivi e riduzione degli spostamenti”. “Lo smart working si può fare ma non deve servire per annullare le postazioni lavorative – ha detto Angelini -. Lo smart working poi deve essere contrattualizzato e va disciplinato un orario di lavoro, altrimenti non si stacca mai. C’è poi il tema della sicurezza: all’interno delle abitazioni non tutti sono in grado di avere lo spazio giusto per lavorare, dipende anche dalla situazione familiare in cui sei, ad esempio se hai figli. Come sindacato non ci opponiamo ai cambiamenti però questi vanno governati e contrattati. Secondo noi non è possibile essere sempre in smart working: ci dovrebbe essere una formula ibrida e questa deve essere su base volontaria, non obbligatoria”.

Di seguito le conclusioni cui è giunta la ricerca sullo smart working

Portato a casa il lavoro trova un’organizzazione interstiziale, fra le stanze di casa e i tempi di vita. Durante la pandemia le stanze delle case si sono attrezzate per diventare spazi di lavoro, il risparmio di tempo e di economie sperimentato con la riduzione degli spostamenti casa-lavoro si sono tradotti in  un’organizzazione in divenire, sempre imperfetta, per far quadrare i tempi, per tenere in equilibrio produttività lavorativa e vita quotidiana. Un’organizzazione, diventata carico individuale, che conta su un’efficacia da rendicontare a distanza, attraverso sistemi di controllo telematici.

Quella che è in campo – non detta, passata sotto silenzio dalla – è un’organizzazione del lavoro che si prevede possa reggere grazie alla facilità di interazioni tecnologiche ma conta, soprattutto, sulla capacità individuale di incorporare – letteralmente – operatività e produttività. E’ un pezzo di lavoro che sparisce e che “resta in testa”. Portati in remoto compiti e mansioni cambiano identità, si adattano a un lavoro che si può fare in solitudine, poco mediato dalla cooperazione in presenza con i colleghi, molto condizionato dall’uso intensivo delle tecnologie, utilizzate non solo per comunicare ma per tenere traccia del lavoro fatto, inviare i feed back richiesti da dirigenti e responsabili, rispondere al patto di fiducia/controllo che regge l’agilità del lavoro.  Non solo il tempo di lavoro, il tempo complessivo ha cambiato di segno portando tutte e tutti  a una interiorizzazione di compiti e scadenze che vanno in varie direzioni. La rivoluzione che sgancia l’organizzazione del lavoro dalle misure ordinarie di tempo e spazio per ricalibrarle su task e obiettivi non si è realizzata pienamente: per molte si è trattato di un semplice trasferimento a casa del lavoro.  La possibilità di avere giornate di lavoro a distanza continua a essere un obiettivo per molte, può liberare un potenziale inespresso, anche organizzativo, costituire un guadagno proprio in termini di autonomia, rispondere alla necessità di tempi di lavoro individualizzati (da tempo circolanti nella società, individuati dal dispositivo della conciliazione). Alcune delle partecipanti alla ricerca stanno sperimentando questa modalità di lavoro, di cui misurano l’efficacia, altre sperimentano situazioni più ambigue: passaggi forzati al telelavoro, uno smart working semplificato  per l’intero orario di lavoro,  rinnovato fino alla fine dello stato d’emergenza, spesso con semplici comunicazioni.  Questa organizzazione individualizzata ha degli effetti disciplinanti (Foucault): a) la progressiva trasformazione del lavoro in prestazione  b) l’assorbimento della norma a “saper fare tutto da soli” c) l’indebolimento dei legami cooperativo-sindacali.  Smaterializzato, digitalizzato, eseguito a distanza, lontano dalle strutture fisiche che contribuiscono a dare forma al tempo e alla complessità delle interazioni necessarie per raggiungere gli “obiettivi”, il lavoro agile, accentuando i caratteri individuali della prestazione, invisibilizza lo sforzo necessario a impostare  routine organizzative efficaci e le ridisegna come sfide individuali completamente affidate alla capacità dei singoli di essere all’altezza del raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il rischio di una intensificazione dello sfruttamento (e dell’auto sfruttamento) si confonde con la sfida di raggiungere in autonomia una buona organizzazione del lavoro e del tempo. Durante le interviste abbiamo ascoltato molte lavoratrici, anche le più entusiaste di sperimentare questa modalità di lavoro, assumersi la responsabilità della percezione di una maggiore fatica : “forse sono io…”. Fra le righe di questa ingiunzione a una autogestione/autonomia/efficienza abbiamo letto e trovato le forme iniziali di qualche sovversione: un riorganizzarsi per squadre e team di lavoro, condividendo gli obiettivi piuttosto che rimanere singolarmente responsabili, l’intuizione di nuovi modi di contrattare che individuano nelle filiere dell’online bisogni e richieste che accomunano lavoratori e lavoratrici distanti nello spazio. Tentativi di rallentare i processi di individualizzazione che si inseriscono  nel solco di una interiorizzazione crescente delle dinamiche produttive.

C’è poi il problema del lavorare a/da casa.

Il lavorare da/a casa  è all’incrocio fra vecchio e nuovo, fra condizioni rischiose e marginalizzanti e possibilità innovative (ma sempre da saper gestire).

Quando lo spazio di lavoro è la casa, una parte dello spazio di casa,  le cose cambiano. Per quanto immerse nei processi di mediatizzazione estesa, le case contemporanee non hanno disperso del tutto (per ora) né il loro significato simbolico, il loro promettere radicamento, senso di sé, protezione e né il loro peso normativo, nell’assegnare ruoli e funzioni ai loro abitanti. Oggi le case sono ambienti ibridi, molto segnati dalle tecnologie della comunicazione, più che ambienti protetti e privati, sono nodi di una rete interconnessa. Eppure il rapporto fra il sé e la casa mantiene una sua specificità con cui l’irruzione del lavoro deve fare i conti. Trasformare lo spazio di casa in spazio di lavoro entra fra le routine organizzative di queste lavoratrici , e vi entra come possibilità e come resistenza, come adattamento e come fatica. Sappiamo che il tema della  non condivisione fra i generi del lavoro domestico e di cura è un dato costante delle ricerche. Le ricerche degli ultimi due anni sullo stare a casa hanno molto insistito su questo dato  ma guardate nel dettaglio di un’indagine che funziona in soggettiva le sono meno compatte di come si raccontano.

Violenza contro le donne, domani presentazione libro “Bread & roses” su Controradio con Angelini e Camusso

Storie di donne, vittima di discriminazione o molestie sul lavoro, andate a lieto fine: esce il libro “Bread & roses” (Porto Seguro Editore), scritto e curato dall’attrice Morozzi e dall’avvocata Capponi, all’interno di un progetto contro le discriminazioni di genere con Cgil Toscana e Controradio. “Un libro che è anche uno strumento di lavoro a tutela delle vittime”. Domani martedì 24 novembre (alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne) la presentazione in diretta su Controradio con le autrici, la Cgil Toscana (Dalida Angelini e Barbara Orlandi) e Susanna Camusso.

Da Mara a Sophie, da Silvana a Giulia, fino a Emma, Ginevra e Luciana. Dieci storie di donne, discriminate o molestate sul lavoro, che hanno saputo, con coraggio ed energia, farsi ascoltare dai giudici, aiutate da professioniste e professionisti appassionati, e hanno visto riconoscere in pieno le loro ragioni, hanno riconquistato la loro dignità, ottenuto la condanna e la giusta punizione dei loro carnefici. Donne che sono riuscite a riprendere in mano la loro vita e rientrare a testa alta nel mondo del lavoro, non più da vittime, ma da protagoniste.

Sono le loro vicende (liberamente ispirate a esperienze realmente accadute in Toscana) le protagoniste del libro “Bread & roses – Storie straordinarie di ordinaria discriminazione” (Porto Seguro Editore, 216 pagine, 15,90 euro), in uscita in libreria il 26 novembre (all’indomani della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne) e ordinabile sul sito dell’editore. Il volume è curato e scritto dall’attrice Daniela Morozzi e dall’avvocata Marina Capponi, all’interno di un progetto contro le discriminazioni di genere che a Firenze ha visto realizzare convegni e incontri nelle scuole, progetto a cui hanno collaborato Cgil Toscana e Controradio (sulle cui frequenze nell’autunno dell’anno scorso è andata in onda la trasmissione da cui è nato il libro in questione: stesso titolo, stesse autrici, stesso tema).

Il titolo del libro riprende il celebre “Vogliamo il pane, ma anche le rose, vogliamo il diritto di vivere, non semplicemente di esistere”, parole pronunciate nel 1912 da Rose Schneiderman, di fronte ad una platea di suffragette a Cleveland, parole che hanno poi ispirato tante successive battaglie, ma anche canzoni, film, poesie; alla fine di ogni capitolo dedicato a una storia, c’è il commento “legale” di un avvocato che spiega le peculiarità giuridiche della vicenda e come possano fare giurisprudenza.

Il volume, inoltre, sarà presentato in diretta su Controradio domani martedì 24 novembre (alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne). Per la precisione, la trasmissione, condotta da Raffaele Palumbo, andrà in onda alle 8.40 su Controradio FM 93.6 – 98.9 e in streaming su controradio.it. Sarà anche in video tramite la piattaforma EDO Eventi Digitali Online su controradio.it, sulla pagina Facebook e il canale YouTube di Controradio. Interverranno, oltre a Morozzi e Capponi, Susanna Camusso (responsabile politiche di genere di Cgil nazionale), Dalida Angelini (segretaria generale Cgil Toscana), Barbara Orlandi (Coordinamento Donne Cgil Toscana)

“Ci auguriamo che questo libro un ulteriore momento di diffusione della consapevolezza che la lotta contro la violenza esercitata contro le donne non è certo un problema delle sole donne. Perché tutelare i diritti delle donne vuol dire, innanzitutto, garantire il rispetto dei diritti umani, ed è una questione che riguarda tutti, uomini e donne, senza differenze”, spiegano Morozzi e Capponi.

“Diffondere storie concluse positivamente per raccontarci e non essere raccontate: siamo orgogliose del progetto che abbiamo intrapreso e convinte che questo testo possa diventare un utile strumento di lavoro, che incoraggi, orienti e sostenga le tante donne che possono farcela, con il sostegno e il supporto di tutto ciò che mettiamo a disposizione – dicono nella presentazione del libro Angelini e Orlandi -. La forza delle donne del sindacato risiede nella capacità di difendere le garanzie democratiche per tutti e per tutte, di un lavoro delle donne libero dai ricatti e dalle discriminazioni. Serve sostenere e incoraggiare la cultura del rispetto come stile di vita e di relazione. E serve condannare atteggiamenti oltraggiosi, irriverenti, che se rivolti alle donne diventano, sempre, anche sessisti e arricchiti di volgarità, senza distinzione di ruolo, di età o di incarichi, prova ne siano le offese rivolte a tante donne, siano giornaliste, ministre, professioniste. L’obiettivo resta quello di infondere consapevolezza del valore del riscatto e del coraggio, per liberarsi dalle angosce generate dalla reticenza; questo è ciò che serve”. In tal senso, si ricorda l’iniziativa intrapresa dal Centro Antiviolenza Luna di Lucca insieme alle donne della Cgil Toscana che, attraverso una petizione siglata da migliaia di firme che a breve sarà consegnata alla ministra per le pari opportunità Bonetti, promuove una modifica normativa che può favorire l’emergere delle violenze: si tratta di garantire il diritto alla riservatezza per le donne vittime di violenza, in maniera da favorire l’utilizzo dei 3 mesi di congedo retribuito previsti dal D. Lg.vo 80 del 2015, per le donne vittime di violenza e pochissimo utilizzato.

Nella prefazione del libro, scrive Camusso: “Si raccontano qui storie di giustizia, di ricorso alla giustizia, storie importanti per chi le ha vissute e per tutte noi che ne traiamo forza. Il lavoro è stato uno straordinario fattore del processo di emancipazione delle donne, determinata dalla forza delle lavoratrici, e dalle loro lotte.  Oggi come allora, però, la parola lavoro, a noi tanta cara, non può essere lasciata da sola, perché per essere portatore di autonomia, rispettoso delle persone, deve essere lavoro ben retribuito, sicuro, riconosciuto. Le lotte delle donne hanno determinato grandi passi in avanti, ma siamo ancora lontane da quella autonomia e indipendenza che deve traguardare la nostra libertà. Ecco quindi la responsabilità collettiva, ma innanzitutto maschile, di uscire da quel tortuoso pensiero per il quale le donne sono vittime ma contemporaneamente sono loro che devono risolvere il problema e non i carnefici, sono vittime ma colpevoli. La responsabilità che può e deve tradursi anche in atti legislativi, in provvedimenti che vanno oltre che ratificate, applicate. Fornendo così strumenti necessari per cambiare la cultura. Cambiare la cultura: una invocazione diffusa che noi vorremmo, invece, diventi una pratica”.

Conclude Marco Imponente (direttore generale Controradio): “Quando l’anno scorso Marina e Daniela ci hanno esposto l’idea di un racconto radiofonico sui temi della discriminazione e la violenza sulle donne nei luoghi di lavoro, non hanno dovuto convincerci, lo eravamo già. Le puntate, molto apprezzate dal pubblico, hanno fornito una visione su quello che è un vero e proprio dramma, spesso non svelato dalle vittime per il timore che la soluzione sia peggiore del male. È un sentire molto comune che va combattuto e cambiato. Ogni azione che possa far denunciare un comportamento scorretto va incentivata. Le trasmissioni radiofoniche, questo libro, le molte iniziative promosse dal sindacato sono azioni concrete di contrasto alle violenze e alle discriminazioni, tentativi di smuovere le coscienze per superare la diffidenza della vittima a denunciare e l’indifferenza di noi tutti”.

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