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CNN: “Casu Marzu: The world’s ‘most dangerous’ cheese”

Casu Marzu

CNN, che di recente ha dedicato una miniserie per raccontare la ricchezza culinaria italiana, mandando ‘l’Academy Award nominee actor’ Stanley Tucci, in giro per l’Italia, per far conoscere agli americani i segreti e l’unicità delle diverse cucine regionali, dedica un ‘long form article’ al Casu Marzu, citando la definizione del Guinnes:  “Il formaggio più pericoloso del mondo”.

“L’isola italiana della Sardegna si trova nel mezzo del Mar Tirreno e guarda l’Italia da lontano – esordisce l’articolo di CNN con una premessa geografica necessaria rivolgendosi ad un pubblico americano – Circondato da una costa di 1.849 chilometri di spiagge di sabbia bianca e acque color smeraldo, il paesaggio dell’entroterra dell’isola si alza bruscamente per formare colline e montagne impervie. Ed è all’interno di queste aspre alture che i pastori producono il Casu Marzu, un formaggio infestato da larve che, nel 2009, il Guinness World Record ha proclamato il formaggio più pericoloso del mondo”.

CNN passa poi a descrivere il formaggio vero e proprio: “Le mosche del formaggio, Piophila casei, depongono le uova nelle fessure che si formano nel formaggio, solitamente il ‘fiore sardo’, un pecorino salato DOP dell’isola. Le uova si schiudono, ed i vermi si fanno strada attraverso la pasta, mangiando il formaggio e digerendo le proteine, trasformando il prodotto in un morbido formaggio cremoso”.

CNN arriva quindi a descrivere il momento in cui il formaggio viene servito in tavola, quando cioè viene tagliata la parte esterna superiore, che non è toccata dai vermi, e si prende la prima cucchiaiata di formaggio cremoso.

“Non è un momento per i deboli di cuore – enfatizza l’articolo di CNN – A questo punto, le larve all’interno iniziano a contorcersi freneticamente. Se si riesce a superare il comprensibile disgusto, il Casu Marzu ha un sapore intenso con richiami ai pascoli mediterranei, speziato con retrogusto che permane per ore. Alcuni dicono che sia un afrodisiaco. Altri dicono che potrebbe essere pericoloso per la salute umana, in quanto i vermi potrebbero sopravvivere alla masticazione e creare miiasi o microperforazioni dell’intestino, ma finora nessun caso del genere è stato collegato alla Casu Marzu”.

Il formaggio è bandito dalla vendita commerciale, ma i sardi, e non solo loro, lo mangiano da secoli, larve comprese: “L’infestazione da larve è il fascino e il piacere di questo formaggio – dice Paolo Solinas, gastronomo sardo di 29 anni – alcuni sardi rabbrividiscono al pensiero del Casu Marzu, ma altri, abituati sin da piccoli al gusto di questo pecorino salato, amano il suo sapore forte. Alcuni pastori vedono il formaggio come un piacere personale unico, qualcosa che solo pochi eletti possono provare”.

Giovanni Fancello, giornalista e gastronomo sardo di 77 anni, che ha trascorso la sua vita a fare ricerche sulla storia del cibo locale, fa risalire il formaggio all’epoca in cui la Sardegna era una provincia dell’Impero Romano.

“Il latino era la nostra lingua, ed è nel nostro dialetto che troviamo tracce della nostra cucina arcaica”, dice Fancello, anche se non c’è traccia scritta di ricette sarde fino al 1909, quando Vittorio Agnetti, un medico della terraferma modenese, si recò in Sardegna e compilò sei ricette in un libro intitolato ‘La nuova cucina delle specialità regionali’. “Ma abbiamo sempre mangiato vermi – insiste Fancello – Ne hanno parlato Plinio il Vecchio e Aristotele.”

Sebbene venerato, lo status legale del formaggio è un’area grigia. Il Casu Marzu è registrato come prodotto tradizionale della Sardegna e quindi è tutelato localmente. Tuttavia, è stato ritenuto illegale dal governo italiano dal 1962 a causa di leggi che vietano il consumo di alimenti infetti da parassiti. Chi vende il formaggio rischia multe elevate fino a € 50.000, ma i sardi ridono quando gli viene chiesto del divieto del loro amato formaggio.

Il Casu Marzu viene prodotto tipicamente alla fine di giugno, quando il latte di pecora locale inizia a cambiare perchè gli animali entrano nel loro periodo riproduttivo e l’erba si asciuga per la calura estiva. Dopo tre mesi, la prelibatezza è pronta.

Mio nonno Ilario, classe 1891, lo chiamava “il formaggio che cammina” e se lo faceva portare sempre a Pizzo Calabro all’inizio dell’estate da amici sardi, lo conservava in un barattolo di vetro da dove noi bambini potevamo osservare le evoluzione dei vermi, insisteva sempre che ne mangiassimo almeno un po’ su una fettina di pane, diceva che i vermi nascevano nel formaggio e mangiavano solo formaggio e quindi erano praticamente fatti di formaggio e poi aggiungeva che bisogna imparare a magiare di tutto, anche i vermi, perché “nella vita non si sa mai”.

Gimmy Tranquillo

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