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Batterio New Delhi, Saccardi: “Presente ma non c’è allarme”

New delhi

Firenze, in Toscana “c’è grande attenzione ma non c’è nessun allarme” per il fenomeno dell’imprevisto aumento di positività al batterio Ndm, acronimo di New Delhi metallo beta-lattamasi, così ha spiegato l’assessore toscano al diritto alla salute Stefania Saccardi intervenendo oggi per fare il punto sulla questione del ‘superbatterio’.

La presenza del batterio New Delhi, che è stata rilevata tra fine 2018 e inizio 2019 tra i pazienti degli ospedali toscani, in particolare nella zona nord ovest, desta preoccupazione a causa della sua elevata resistenza agli antibiotici,

“I numeri sono sporadici e non sono tali da rappresentare un allarme – ha poi rilevato Saccardi – anche se ci inducono naturalmente a fare molta attenzione e adottare strumenti e azioni affinché il batterio venga gestito nel modo migliore. Da novembre a oggi sono stati registrati 64 casi infetti con presenza confermata di batterio nel sangue, e 546 portatori in tutta la Toscana”.

L’assessore ha precisato che “è un batterio che esiste ovunque in Italia, ma nella nostra regione i numeri sono un po’ più alti”. L’infettivologo Tacconi ha spiegato che “è un batterio che spesso si trova nell’intestino delle persone che hanno usato antibiotici”, “e per i portatori non viene previsto niente mentre gli infetti vengono sottoposti a terapie” perché con questo batterio in caso di sepsi “la mortalità può arrivare al 40%-45%. A essere colpiti sono pazienti fragili che per motivi di salute sono stati sottoposti a prolungate terapie antibiotiche, interventi chirurgici, oppure sono immunodepressi per la chemioterapia o grandi ustionati.

“Per evitare la trasmissione – ha spiegato ancora Tacconi – è necessario porre grande attenzione all’igiene personale del paziente e dei familiari e negli ospedali è necessario isolare i pazienti”. La presenza del batterio, è stato spiegato, è soprattutto nei grandi ospedali, in particolare nell’area del Pisano, dove vengono trattati un maggior numero di pazienti e soprattutto patologie più gravi.

Dei 64 pazienti infetti, è stato poi spiegato, 49 sono concentrati nell’area vasta nord ovest, e di questi 28 a Pisa e altri 8 a Livorno. Per contrastare la diffusione, sono state previste una serie di misure: tra queste sono stati aumentati, ad esempio, gli screening all’ingresso in ospedale, ed estesi a tutti i reparti di medicina, ripetuti settimanalmente per tutta la degenza nel caso di esito negativo.

Per gli esperti, la profilassi da seguire è quella igienica, dal lavarsi le mani all’uso di presidi e strumenti monouso, fino all’isolamento del paziente, e deve riguardare non solo gli operatori ma i ricoverati stessi e i parenti che si recano in ospedale a far loro visita.

L’uso corretto degli antibiotici è soprattutto, a monte, l’attenzione da adottare, ripetono più volte i medici, causa dell’aumento dei batteri (non solo il New Delhi) resistenti.

“Il fenomeno – sottolinea l’assessore Saccardi – è stato fronteggiato tempestivamente dalle strutture sanitarie regionali. Non c’è stata alcuna sottovalutazione e il nostro obiettivo in questo momento è la prevenzione”.

L’unità di crisi, composta da più esperti di infezioni, ha messo a punto una serie di indicazioni operative fornite a tutte le Asl e agli ospedali toscani, con indirizzi omogenei e comuni. Gli screening, spiega una nota, che la Toscana regolarmente effettuava nei reparti di terapia intensiva (dove più alto è il rischio di colonizzazione) o laddove l’anemnesi dei pazienti li consigliava, sono stati estesi. E tutti i dati raccolti sono stati inseriti all’interno di un database, per una successiva indagine retrospettiva.

Non è comunque possibile, ribadiscono dalla direzione sanità, stabilire un nesso causale diretto, nella maggior parte dei casi, tra contrazione dell’infezione e morte, perché si tratta di una concausa che va ad agire su condizione cliniche già compromesse: pazienti magari che già accusano insufficienze renali, diabetici o con altre patologie, in molti casi anziani.

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