Frizzi e la sobrietà di un intrattenimento genuino

Mi scopro commossa nell’apprendere la notizia della sua scomparsa. Stavo mettendo le cuffie per andare in onda e, dall’ultim’ora sugli schermi davanti al microfono, ho letto la notizia. Ho provato un reale dispiacere e ho cercato dentro di me il perché.

Fabrizio Frizzi era la televisione di intrattenimento vecchio stile. Dopo i grandi Mike (che mi è sempre piaciuto poco), Corrado (inarrivabile) e Baudo (immortale), lui sembrava averne raccolto il testimone non sono in termini di fasce d’ascolto e trasmissioni, anche come stile, toni, modo di condurre.

Non nego che a volte (spesso) sentendolo parlare ho scosso la testa e ho avuto voglia di cambiare canale. Mi sentivo in imbarazzo per lui, non tanto per quello che diceva ma per come lo diceva. Si vedeva che sudava freddo, che era un timido che si faceva forza tanto amava quello che faceva. Con quel suo modo di sorridere ‘alla Frizzi’ che rasentava il demenziale e l’infantile.

Frizzi mi faceva tenerezza. E’ vero, come diceva lui, che cercava di “entrare nelle case degli italiani in punta di piedi”, oggi invece tutto è urlato, pompato, velocizzato, marcato, evidenziato, ammiccato e la lista potrebbe essere ancora lunga.

Per me era il Conduttore di Miss Italia per antonomasia. Senza di lui non ho più guardato il concorso. Riusciva a dargli una ritualità e un’attesa per la finale che non ho più ritrovato.

Il suo matrimonio con Rita Dalla Chiesa ha spiazzato tutti e convinto altrettanti. Per l’amore e il rispetto che si sono portati, prima, durante. E dopo.

Lo adoravo con Milly Carlucci in “Scommettiamo che…?”. Per me una delle sue coconduzioni piu riuscite.

Affiancando colleghe/ghi o da solo, si presentava con eleganza e rispetto per il luogo e gli altri, come chi si veste per la messa della domenica e partecipa ad una cerimonia. Forse un po’ troppo ‘per benino’ ma con quella forma e sobrietà che oggi sono sempre più rare.

La conferma che fosse una persona cortese, spontanea e poco distante dall’immagine che si aveva di lui l’ho avuta da mio fratello e dalla sua breve esperienza a “L’Eredità”.

Non aveva vette altissime di dialettica, né guizzi particolarmente ad effetto, ma la sua genuinità traspariva dal suo modo di presentare, intervistare, accogliere, nominare… da come cercava di mettere a suo agio l’ospite, che fosse famoso e ‘normale’.

Non avrei mai pensato di scrivere di Fabrizio Frizzi, così come non avrei mai pensato che sarei inorridita alla notizia di una donna alla presidenza del Senato. Ma sono le persone che fanno la differenza e non gli stereotipi o i simboli. Frizzi non era né l’uno né l’altro.

Era un conduttore televisivo, che amava il suo mestiere, si vedeva. Che non cercava le telecamere nel privato. Che ha intrattenuto milioni di persone per anni con garbo, discrezione e delicata ironia.

E’ uno di quei rari casi in cui la politica dovrebbe imparare dalla televisione.

Ciao Fabrizio.

 

Chiara Brilli

Omicidio vs vandalismo: la vita tolta non vale quanto un decoro oltraggiato

Quando leggi un virgolettato della Procura di Firenze sull’omicidio del cittadino senegalese Idy Diene, in base al quale per gli inquirenti “non è un gesto a sfondo razzista” e vieni a sapere da frammenti dell’interrogatorio all’omicida Roberto Pirrone, che avrebbe voluto suicidarsi (ma alla fine ha preferito togliere la vita a qualcunaltro), e che non ha sparato alla prima persona che si è trovato davanti  (una madre e la sua piccola), ma contro Idy Diene sì, allora capisci che la motivazione razziale c’è, eccome.

La disperazione di una vita sul baratro delle difficoltà economiche  è sfociata alla fine in un atto di distruzione verso un altro essere umano. E se la mamma con figlio era troppo, l’uomo (il lavoratore, l’immigrato, un possibile padre di famiglia) no.

C’è stato un distinguo, una scelta, una premeditazione. Poco importa che il tipografo in pensione conducesse una vita tranquilla o meno, avesse un profilo social senza dichiarazioni razziste, non avesse collegamenti diretti con movimenti o realtà sociali di estrema destra. In un paese reale sempre più verde e intollerante, in cui il ‘prima gli italiani’ raggiunge sostegni di pancia e di voto storici, se puoi girare con una pistola in mezzo alla gente, farti mille film in testa e decidere che un altro essere umano sarà il protagonista da abbattere  e fare il regista di quel film e sparare e risparare. E poi prendere meglio la mira e sparare in testa e poi non fuggire, non correre, non scappare da te stesso, ma passeggiare, camminare come se nulla fosse successo e farti arrestare senza opporre resistenza ma raccontando tutto per come quel film l’hai pensato e realizzato, senza sconvolgere la tua stessa coscienza, allora siamo oltre lo sfondo razzista. Siamo dentro la disumanizzazione della società che di sociale ha ormai solo i profili on line e i loro like.

Poi però la rabbia di chi questa disumanizzazione non l’accetta, sfocia in strada, in un camminare insieme per allontanare da se’ la paura troppo reale dell’essere da soli, ancora una volta,  dell’essere l’obiettivo da non accattare, da eliminare e quella rabbia che vuole risposte degenera in cocci rotti, terriccio a terra, reti buttate giù, oggetti danneggiati, cose che fanno paura, che generano scandalo, presa di distanza, condanna per l’inciviltà, il vandalismo nei confronti della città.

Ma davvero pensiamo che una vita tolta valga quanto il degrado urbano? Molte le dichiarazioni di politici, categorie economiche, soggetti istituzionali che condannano l’omicidio e si dicono al contempo indignati per (scrivono) la violenza e l’assedio che ha dovuto subire la città. E’ quel ‘al contempo’ che dovrebbe scuotere le coscienze.

Una vita è stata tolta alla sua famiglia, ai suoi sogni, alla sua storia. Questo gesto criminale non può essere accostato a niente altro che alla crudeltà di chi sceglie di togliere e a chi togliere.

Il dolore e la rabbia non possono tradursi in violenza, ma a loro volta sono stati violati e meritano rispetto, ascolto e risposte non elettorali.

Chiara Brilli

Francesca e la ‘nostra’ volontà di vita violata

Andare nelle scuole, confrontarsi con ragazzi e ragazze ancora minorenni che difronte alla definizione ‘violenza di genere’ rimangono un po’ spiazzati. Se invece gli dici ‘femminicidio’ ti accennano l’ultima notizia di cronaca che hanno (non letto sui giornali, non visto in tv ma) saputo attraverso il web. Mai in silenzio, il progetto contro la violenza di genere che ha portato la nostra radio a conoscere tanti giovani e a dare loro voce e strumenti per raccontare in musica il loro pensiero sugli abusi, sui soprusi, sulle aggressioni, sulle prevaricazioni, sulle devianze di rapporti che nulla hanno a che fare con l’amore è stato un crescendo di consapevolezza, che con la cultura, con la condivisione di valori quali il rispetto per la dignità umana e per l’autodeterminazione è possibile confinare  e combattere la violenza.

Poi immagini quegli stessi ragazzi e ragazze che vengono a sapere di Francesca e delle sue figlie di 9 e 11 anni divenute di colpo ‘orfani speciali’, ovvero senza la madre perché uccisa dal padre, poi suicida. Ti chiedi cosa possano pensare venendo a sapere che l’ex marito fosse già stato condannato per stalking, sottoposto a divieti di avvicinamento non rispettati, ad arresti domiciliari finiti i quali aveva ricominciato a controllare Francesca, sotto piscanalisi e psicofarmaci. Francesca che in quel momento ha deciso però di non sporgere denuncia come aveva fatto due anni fa, nonostante il nuovo fascicolo aperto dalla Procura.

Scriveva su Fb che voleva pace, forse per lei e le sue figlie e pensava che con la calma e il tempo le cose sarebbero potute cambiare. Ma le persone non cambiano e le vittime di violenza lo devono capire prima che a loro il tempo e la vita vengano tolti per sempre. Anche se è il padre dei tuoi figli, anche se ne sei stata innamorata, anche se sei stanca di guardarti le spalle, anche se ti senti di poter ridare fiducia.

Se Francesca non avesse aperto quella porta dopo avere sentito al citofono la voce dell’ex marito non sappiamo cosa sarebbe successo nei giorni e nei mesi successivi, ma quel giorno non sarebbe stata uccisa da colui che ha tolto i genitori alle sue stesse figlie. Procura, forze dell’ordine, familiari, vicini di casa, attuale compagno: tutti sapevano, tutti avevano compiuto azioni a tutela di Francesca e si preoccupavano per lei. Ma in quel momento lei era sola. Sola con se stessa. E ha ritenuto di potere affrontare un dialogo, un contatto, un confronto, che invece era solo un’intenzione di morte. Una volontà di annullare lei e la sua volontà di vita.

Ai ragazzi e alle ragazzi di Mai in silenzio e ai giovani che ascolteranno e hanno ascoltato le loro canzoni  per dire basta alla violenza, vorrei proprio dire questo: continuate a fare sentire la vostra voce e a condividere con la vostra generazione, attraverso la cultura,  la volontà di non rimanere in silenzio, di non rimanere soli, ma di rimanere vivi e dire NO a chi pretende di farci vivere la nostra vita, come vuole qualcun altro.

Chiara Brilli

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