Cicciobello contro tutti, “Il morbillo non è un gioco” ma per chi?

“Mamma lo voglio me lo compri?”. Primo effetto dello spot del nuovo Cicciobello su mia figlia di tre anni. E come farsi mancare l’ennesimo bambolotto. Dopo l’urlante C. Bua (della sorella maggiore), dopo le bambole con tutte le punture di insetti immaginabili (idem) e quella che ha le lacrime che escono sul serio. L’approccio al neonato che ha bisogno, di cure, di affetto, di attenzioni, dal ciuccio alla punturina, è innescato nei nostri figli e in noi stessi ancor prima dell’avvento della televisione e con essa è stato potenziato. Ma se reputo necessaria (anche se faticosa) la battaglia contro le logiche consumistiche, contro la bizza per il gioco a tutti i costi,  a favore della teoria ‘pochi giochi ma buoni’ (soprattutto semplici, manuali, collettivi), ho difficoltà ad intravedere in questo bambolotto virussato un pericolo per lo sviluppo cognitivo ed esperienziale dei miei figli. Eppure il bambolotto Cicciobello Morbillino, che si cura dalla malattia strofinando e cancellando i puntini rossi con una salviettina, è stato accusato di “banalizzazione e sottovalutazione di una patologia che, come tutte le malattie virali, è molto insidiosa”. Questo infatti il commento del presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Walter Ricciardi, secondo il quale il prodotto andrebbe ritirato dal mercato.

Cerchiamo di capire i vari punti di vista:

“Collegare una malattia come il morbillo a qualcosa di giocoso – afferma Ricciardi – è fuorviante. Si corre così il rischio di indurre le persone a preoccuparsi più del vaccino, che è sicuro, che della malattia che, invece, non è assolutamente banale”. Anche se grazie alle vaccinazioni “si è ridotto il numero dei casi, se ne contano ancora centinaia e solo nel 2018 – rileva – in Italia si sono già registrati due morti”. E’ quindi “da biasimare questo approccio commerciale che fa correre tali rischi”. Con le malattie “non si gioca: sarebbe bene che l’azienda manifestasse sensibilità alle numerose critiche ritirando il prodotto”, sottolinea Ricciardi.

“Si tratta di un gioco, abbiamo fatto tutto in buona fede. Non pensiamo di aver fatto nulla di oltraggioso, ripescando un concetto che è sempre esistito, quello delle bambole con la ”bua””. Il Ceo di Giochi Preziosi, Dario Berté, parlando con l’ANSA, è particolarmente stupito dalla reazione all’ultimo prodotto della società, che sta scatenando polemiche sui social, con l’Iss e utenti che arrivano a chiederne il ritiro dal mercato. “Perché dovremmo ritirarlo? Il ritiro viene fatto solo dopo una decisione delle autorità”, spiega Berté, sottolineando che “noi produciamo giochi da una vita: i bambini hanno sempre giocato al dottore e all’ammalato con i bambolotti”.

I maggiori rimproveri riguardano l’idea che il morbillo si possa curare con una pezza bagnata e una pennetta: “pensate davvero che un genitore vada in farmacia a chiedere la penna per curare il morbillo? Piuttosto, penso che un bambino si informerà sulla malattia. Purtroppo è un periodo complicato, vista la polemica sui vaccini, ma non abbiamo pensato ci potessero essere criticità di questo tipo”.

A criticare anche il medico pro-vaccini Roberto Burioni che punta il dito contro la “banalizzazione” di una malattia pericolosa come è appunto il morbillo. “Attendiamo il Cicciobello Linfomino e pure quello Meningitino. Mi chiedo chi siano questi geni che banalizzano malattie gravi senza rispetto per i malati e per i loro familiari. E pensare – scrive Burioni in un tweet – che me la prendo con gli antivaccinisti”.

Il nuovo bambolotto non piace neanche al presidente della Società italiana di pediatria (Sip) Alberto Villani, che ricorda come dal 2017 ad oggi si siano registrati in Italia 7 decessi a causa del morbillo ed avverte anche sulla pericolosità delle complicanze di questa malattia. Poi, lancia una proposta: un Cicciobello che si possa vaccinare, per trasmettere un messaggio positivo legato alle vaccinazioni.

E critiche arrivano anche dal presidente della Federazione italiana medici pediatri (Fimp), Paolo Biasci. Insomma, è il monito dei medici, il morbillo “non è un gioco”.

“Questo giocattolo puo’ avere un impatto piu’ che positivo sul bambino”. Ne e’ convinta invece Rosamaria Spina. “Prendersi cura di qualcun’altro viene visto con affetto e attaccamento dal bambino. E’ come quando giocano al dottore, l’adulto ci vede sovrastrutture pericolose, un gioco quasi scandaloso, ma il bambino certe cose non ce le vede. È un gioco di scoperta- continua Spina- e’ curioso e si confronta con un suo simile che piu’ di chiunque altro gli puo’ dare una risposta. Non dobbiamo pensare che questo bambolotto porti ad una banalizzazione della malattia, ma impariamo a guardarlo con gli
occhi di un bambino, e vederlo per quello che realmente e’: un gioco di imitazione con una bambola”. Secondo la psicologa “stiamo ingigantendo tutto quello che succede rispetto alla salute– ha affermato Spina- siamo sicuri che il bambino che gioca con questo bambolotto sia in grado di capire che si tratta di una malattia grave e di comprendere tutte le conseguenze che ci possano essere? Il bambino lo prende per quello che e’: un gioco. Il bambolotto e’ ammalato e io mi prendo cura di te, un po’ come vede quello che fanno a lui quando sta male. E’ un gioco di imitazione che aiuta a crescere dal punto di vista emotivo, cognitivo e psicologico. Io bambino sto male, la mamma (o il papa’) si prende cura di me, in questo caso sono io la mamma, sono io il papa’ e mi prendo cura del bambolotto che mi
e’ stato affidato”. A questo punto, aggiunge la psicologa, “dovremmo proibire qualunque gioco perche’ siamo abituati a pensare ai bambini come puri e innocenti, fatti solo di bonta’, coccole e serenita’. In realta’ tutti i bambini hanno una parte buona e una cattiva – commenta- quella che viene chiamata tecnicamente ‘oggetto buono’ e ‘oggetto cattivo’. Questa parte (quella cattiva) convive in ogni bambino e deve essere esorcizzata. Per farlo il piccolo impiega giochi che all’adulto sembrano violenti- conclude Spina – come fucili e pistole giocattolo”.

Questa la panoramica delle posizioni pro e contro che in questi giorni stanno riempiendo social e media, non credo ci sia una posizione unica da adottare, ognuno di noi come bimbo cresciuto, come genitore, come educatore, medico,  ha una sua personale esperienza con i giochi che ha usato, voluto, regalato, consigliato. Per quanto mi riguarda sono più incline a pensare che noi adulti riversiamo nei piccoli i nostri timori e le nostre aspettative. Una dinamica non da demonizzare a tutti i costi ma sicuramente da individuare e tenere sotto controllo, per evitare che prevarichi i reali bisogni di tutela (meno di quanti crediamo)  e sviluppo (più semplici di quelli che pensiamo) del bambino. 

Chiara Brilli

Firenze città più longeva d’Italia

In Italia si vive più a lungo a seconda del luogo di residenza o del livello d’istruzione: si ha una speranza di vita più bassa al Sud o se non si raggiunge la laurea. A Firenze si vive di più, con uno scarto oltre tre anni, rispetto a Napoli e a Caserta. Mentre a livello regionale il gap Nord – Sud e’ ben rappresentato dal rapporto tra Trentino e Campania. In Campania nel 2017 gli uomini vivono infatti mediamente 78,9 anni e le donne 83,3, dati che nella Provincia Autonoma di Trento diventano 81,6 per gli uomini e 86,3 anni per le donne.

E’ un Paese diviso quello tratteggiato dall’Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane, con sede a Roma all’Università Cattolica, ideato dal professor, con un focus dedicato alle disuguaglianze di salute in Italia. Tra le motivazioni alla base della piu’ alta mortalita’ al Sud già alla presentazione del proprio rapporto l’Osservatorio aveva individuato fattori come la scarsa prevenzione, diagnosi piu’ tardive, una minore disponibilita’ di farmaci innovativi ed una minore efficacia ed efficienza delle strutture sanitarie, ma anche gli stili di vita .

In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nel Nord-Est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nel Mezzogiorno, dove si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. E se Firenze, con 84,1 anni di aspettativa di vita, fa totalizzare 1,3 anni in più della media nazionale, seguita da Monza e Treviso, vi e’ invece un enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa.

Inoltre, anche un titolo di studio basso porta a peggiori condizioni di salute e le disuguaglianze sono acuite dalle difficoltà di accesso ai servizi sanitari che penalizzano soprattutto chi ha un livello sociale più basso. Insomma il Servizio sanitario nazionale assicura la longevità, ma non l’equità sociale e territoriale. Non solo: il livello di istruzione pesa anche in parte sulla rinuncia alle cure, anche se il nostro Paese non è proprio tra i peggiori.

“Il Servizio sanitario nazionale oltre che tutelare la salute, nasce con l’obiettivo di superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese. Ma su questo fronte i dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche”, spiega Alessandro Solipaca, Direttore Scientifico dell’Osservatorio. “La sfida futura del Ssn sarà quella di contrastare le persistenti disuguaglianze con interventi e politiche urgenti” spiegano gli esperti. Tra questi “l’allocazione del finanziamento alle Regioni, attualmente non coerente con i bisogni di salute della popolazione, e l’accessibilità delle cure”.

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