Ministero, circolare a Regioni “rafforzino misure assistenza, fase acuta”

Ministero, una “tempestiva attivazione a livello regionale di tutte le misure organizzative atte a fronteggiare nelle prossime settimane un eventuale incremento anche sostenuto della domanda di assistenza sanitaria legata all’infezione da SarsCoV2, sia a livello territoriale che ospedaliero”.

La raccomandazione è contenuta in una circolare del ministero della salute, anticipata oggi da Repubblica, indirizzata a Regioni e Comuni. Ciò, si legge, considerando che “l’Italia si trova in fase epidemica acuta, caratterizzata da elevata velocità di trasmissione del virus nella maggior parte del paese” e alla luce della maggiore diffusione di Omicron.

 

 

La circolare ‘Pandemia da SarsCoV2: rafforzamento delle misure organizzative per la gestione dell’attuale fase epidemica’ è firmata dal direttore della Prevenzione del ministero Gianni Rezza e dal direttore generale della Programmazione sanitaria Andrea Urbani.
“Nelle ultime otto settimane – si legge nel provvedimento –
sul territorio nazionale sono stati registrati rapidi incrementi dell’incidenza, che ha ormai raggiunto i 241 casi/100.000 e del tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva (9,6%) e nelle aree mediche (12,1%), mentre si mantengono stabilmente e significativamente al di sopra della soglia epidemica sia l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici (1,13) che l’indice di trasmissibilità basato sui casi con
ricovero ospedaliero (1,09)”.
Alla luce dell’attuale andamento epidemico ed “altresì in considerazione degli ulteriori impatti epidemiologici ed assistenziali potenzialmente correlati alla maggiore diffusione della variante virale B.1.1.529, designata dall’OMS come variante Omicron, le cui caratteristiche in termini di trasmissibilità, gravità della malattia e sensibilità ai vaccini
attualmente in uso non sono ancora chiaramente definite – si afferma nella circolare – si ritiene importante raccomandare la tempestiva attivazione a livello regionale di tutte le misure organizzative atte a fronteggiare nelle prossime settimane un eventuale incremento anche sostenuto della domanda di assistenza sanitaria legata all’infezione da SARS-CoV-2, sia a livello territoriale che ospedaliero, garantendo l’adeguata presa in carico dei pazienti affetti da COVID-19 in relazione alle specifiche necessità assistenziali”.

Il ministero rimanda quindi le Regioni alle circolari già emanate per la gestione delle precedenti ondate pandemiche e che riguardano, in particolare, misure per la rimodulazione dell’attività programmata considerata differibile, indicazioni per partorienti e neonati, riorganizzazione dei servizi ospedalieri e territoriali per la gestione dell’emergenza con il potenziamento dei posti letto ospedalieri e dell’assistenza sul territorio.

I topi potrebbero diventare serbatoi per le varianti Coronavirus

Secondo i dati di una ricerca, il cui primo autore è il genetista Xavier Montagutelli, pubblicati online sul sito bioRxiv, che accoglie articoli non ancora sottoposti alla revisione da parte della comunità scientifica, le varianti del Coronavirus riuscirebbero a contagiare anche i topi.

Finora i topi erano risultati indenni al virus SarsCoV2, ma una ricerca condotta dall’Istituto Pasteur di Parigi dimostra per la prima volta che le varianti brasiliana (P.1) e sudafricana (B.1.351) riescono a contagiarli e che, di conseguenza, i topi potrebbero diventare serbatoi naturali nei quali il virus potrebbe riassortirsi e mutare ancora.

La ricerca si basa sulle osservazioni fatte nei topi di laboratorio, nei quali la proteina Spike del virus SarsCoV2 non riesce ad agganciarsi al suo principale bersaglio, il recettore Ace2 che si trova sulla superficie delle cellule. Riescono invece a far scattare questa serratura molecolare sia la variante brasiliana sia quella sudafricana del virus SarsCoV2, ma anche “altri fattori potrebbero essere coinvolti nella capacità delle varianti di infettare i topi”.

La buona notizia è che adesso è possibile studiare la malattia in dettaglio e direttamente nei topi di laboratorio. La scoperta indica però che “questo nuovo salto di specie aumenta la possibilità che i roditori selvatici diventino un serbatoio secondario”.

Sebbene debba ancora essere studiata la capacità dei topi di trasmettere l’infezione, “questi risultati – scrivono i ricercatori – sollevano importanti interrogativi sui rischi che derivano da topi o altri roditori che vivano in prossimità degli esseri umani”, diventando dei serbatoi per il riassortimento del virus che potrebbero favorire in questo modo la comparsa di altre varianti.

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