Firenze: nasce un comitato tutto al maschile per dire ‘no’ alla violenza sulle donne

Si chiama  “Impariamo a dire noi”.Presentato oggi il  manifesto contro il fenomeno del femminicidio. Adesione anche da parte della presidente della Commissione Pari opportunità, pace, diritti umani, relazioni internazionali, immigrazione del Comune di Firenze,  Donata Bianchi

La violenza sulle donne? Interessa innanzitutto gli uomini. E’ da questo principio che nasce il manifesto del Comitato civico “Impariamo a dire noi”  che rappresenta la sintesi dell’elaborazione, fin qui compiuta, in oltre un anno di lavoro  a Firenze da un gruppo di donne e uomini che sentirono la necessità di confrontarsi sul fenomeno del femminicidio e della violenza domestica, spinti da un forte preoccupazione e indignazione per quanto era avvenuto nella fase del lockdown (si ricorda che durante il lockdown furono 5.031 le telefonate valide al 1522, il 73% in più sullo stesso periodo del 2019).

Il comitato è promosso tra gli altri dal sociologo Giuseppe Russo, dal garante dei detenuti di Firenze Eros Cruccolini e dallo chef Fabio Picchi.

All’interno del documento, dal titolo ‘Impariamo a dire di no’, si legge: “Siamo uomini che finalmente hanno preso consapevolezza di un grave problema sociale e della necessità di farsene carico tutti, senza delegarlo agli operatori: il problema della violenza di genere, che vede nel femminicidio il bestiale culmine. Abbiamo iniziato una riflessione sulla necessità di una responsabilità individuale e collettiva maschile nel fermare la violenza contro le donne”. L’obiettivo era “costituire un comitato civico di cittadini e cittadine, che attraverso un primo livello di approfondimento potessero elaborare un appello con cui attivare l’impegno di altri cittadini, anche stranieri, in maggior numero di genere maschile ma anche femminile. Per saperne di più sulla questione abbiamo preso contatto anche con le associazioni che su Firenze seguono le donne vittime di violenza e gli uomini impegnati in percorsi di recupero, Artemisia e Cam. Ci proponiamo attraverso questo manifesto di stimolare la partecipazione di altri uomini per ampliare il gruppo originario”.

Tra i presenti oggi anche il sindaco di Firenze Dario Nardella, gli assessori Sara Funaro (welfare), Benedetta Albanese (diritti e pari opportunità). “Siamo qui per suggellare la nascita di questo comitato civico contro la violenza sulle donne, soprattutto contro la violenza fatta da uomini – ha detto Nardella -. È un messaggio forte che parte dagli uomini, non basta che le donne difendano le donne. Una società davvero giusta, degna di questo nome non può che vedere gli uomini in prima linea ad aiutare e difendere le donne. Il comitato offre un punto di vista nuovo e diverso”.

 

🎧 Rischio cottimo, violazione privacy, ritmi estenuanti: i rischi dello Smart Working visti dai bancari

Presentata la ricerca Fisac Cgil (curata dal sociologo Pippo Russo) con interviste “in profondità” a 41 lavoratori e lavoratrici senesi. Quiriconi, segretario generale Fisac Cgil Toscana: “lo smart working E’ un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro, della sua organizzazione, del modello di contrattazione: il lavoro da remoto ora va contrattato”.

Osannato da alcuni, temuto da altri: cos’è veramente lo smart working e che ricadute avrà (sta avendo) sulla vita dei lavoratori coinvolti? E’ questo il tema al centro della ricerca working class – 41 storie di lavoro da remoto” realizzata da Pippo Russo (professore del dipartimento sociologia dell’Università di Firenze) in 45 ore di interviste “in profondità” a lavoratori e lavoratrici senesi nel settore finanziario e dei servizi al credito.

Tra i rischi certamente la pericolosa tendenza a veder svanire il confine fra tempo di vita e di lavoro. L’aumento della produttività (si lavora di più nello stesso arco di ore e si sfora l’orario di lavoro senza che ve ne sia reale necessità). E il rischio ‘cottimo’. Questi gli elementi più problematici per i lavoratori. Mentre per le aziende c’è chiaramente  possibilità di abbattere i costi enormemente.

“Le rare e isolate esperienze di smart working effettuate nelle aziende prima della pandemia erano avvenute in modo disfunzionale; era visto dalle direzioni come un fastidio più che un’opportunità, poi con la pandemia è cambiato tutto (si sono palesate alle direzioni le possibilità di ristrutturazione, controllo e abbattimento dei costi)” dice la FISAC.

L’indagine, commissionata da Fisac Cgil Toscana e Fisac Cgil Siena, è stata presentata oggi in una diretta streaming sul sito e sulla pagina Facebook di Fisac Cgil Toscana. “Si tratta della prima indagine che indaga condizioni, stato d’animo, sentimenti in un settore in cui il lavoro a distanza ha impattato con forza maggiore rispetto ad altri, non limitandosi alla semplice somministrazione di questionari a distanza, ma interagendo con lunghe interviste con i diretti interessati – ha detto Daniele Quiriconi, segretario generale di Fisac Cgil Toscana

C’è anche chi la valuta positivamente: “con lo smart working sono rinata”, “è una fregatura, e ho pure problemi di connessione dove abito”, “a casa ci si concentra meglio”. Mentre altri puntano maggiormente l’accento sui lati negativi manca il confronto diretto coi colleghi per risolvere le questioni sul lavoro”, “non si stacca mai, mi capita di leggere mail dei colleghi inviate a orari improponibili”.

“con lo Smart Working Emergono, insieme ai vantaggi, i limiti, le paure, i rischi e le insofferenze per una situazione determinata da forza maggiore, ma che può essere il preludio ad un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro, della sua organizzazione, del modello di contrattazione. E questo è il compito del sindacato: contrattare il lavoro da remoto con le imprese”. Ha aggiunto Fabio Seggiani, Segretario Generale Cgil Siena: “Dato che nel post-pandemia questa modalità lavorativa continuerà ad essere applicata, è assolutamente necessario considerare anche le ricadute che il lavoro da remoto ha sull’intera economia di un territorio come quello di Siena, a partire dalle ripercussioni sui lavoratori e sulle lavoratrici che operano nel settore dei servizi e degli appalti”.

“L’obiettivo che ha ispirato la ricerca e ne ha guidato il lavoro è stato  fare emergere la dimensione esperienziale dello Smart Working utilizzato a sua volta non soltanto nella sua accezione di modalità operativa, ma soprattutto come una chiave di lettura sui mutamenti nei rapporti di lavoro che il settore del credito e dei servizi finanziari sta affrontando” ha dichiarato il sociologo Pippo Russo. Che indica in questi punti gli elementi di maggior rilevo che emergono dall’inchiesta.

Molte risposte mostrano una chiara consapevolezza di cosa lo SW avrebbe dovuto essere e perciò segnalano lo scarto fra modello e realtà. Altre partono dalle considerazioni sulle conseguenze che questa modalità ha avuto per la vita privata e per questo sacrificano una visione più prospettica. Su un aspetto il parere è molto diffuso: si tratti di SW o di altro, questa modalità permette di raggiungere livelli di produttività nettamente più elevati che quelli possibili sul posto di lavoro. Le condizioni di isolamento permettono di raggiungere gradi di concentrazione e continuità spesso impossibili sul posto di lavoro. Va a finire che si lavora di più nello stesso arco di ore (intensività), ma anche che si sfori l’orario di lavoro senza che ve ne sia reale necessità (estensività). Ne consegue in SW la produttività dei/lle dipendenti è chiaramente aumentata. Sarebbe un tema da porre in sede di contrattazione salariale?”

Altro elemento condiviso all’unanimità -sottolinea Russo- è che grazie all’adozione generalizzata dello Smart Working le aziende hanno potuto abbattere costi in misura enorme, e che ciò ha anche permesse loro di avviare una vasta ristrutturazione relativamente a sedi, immobili, luoghi e postazioni di lavoro, gestione del personale. Si pone la questione delle modalità con cui questa ristrutturazione viene adottata e sul rischio che le aziende facciano affidamento soprattutto sul risparmio tralasciando sviluppo e investimento”.

Infine “la sezione delle domande relativa all’intreccio fra tempo di lavoro e tempo di vita mette in evidenza, sia pure in misura non generalizzata, una pericolosa tendenza a veder svanire il confine fra le due sfere. Si tratta di un possibile lascito che ancora non si è in grado di valutare, né lo si sarà fino a che non sarà stata completata l’uscita dalla pandemia. Ma le premesse per un fenomeno preoccupante rispetto alla sfera personale delle/dei dipendenti sono già ben visibili”.

La ‘cultura’ dello stupro nel calcio: il nuovo libro di Pippo Russo

A partire dall’indagine del caso Evans, giovane promessa dello Sheffield United  condannato  e poi assolto per stupro,  Pippo Russo ci accompagna in un viaggio nei legami tra calcio e rape culture. ASCOLTA L’INTERVISTA

Aprile 2012: Ched Evans, giovane stella nascente del calcio inglese, viene condannato a cinque anni di reclusione per lo stupro di una diciannovenne. Il centravanti dello Sheffield United sconta due anni e mezzo di carcere, salvo poi ottenere la cancellazione della pena dopo la revisione del processo. Quello di Ched Evans è un caso particolarmente controverso, sia in termini giuridici sia sociologici: pone diverse questioni delicate, dal carattere classista della giustizia ai meccanismi della tutela garantita alle vittime di stupro, fino al ruolo dei social media nella creazione del clima intorno a una vicenda giudiziaria.

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