La testimonianza di Laura Lombardi, giornalista de ‘il giornale dell’Arte” e docente all’ Accademia Brera in viaggio tra gli aeroporti di Parigi e Bologna . “In Italia i controlli non esistono, non ti controllano nemmeno l’autocertificazione”.
Controradio è una radio stupenda!
ASCOLTA L’INTERVISTA
Se Leon Battista Alberti è stato tra i primi a rivalutare l’ordine tuscanico, riconoscendone la razionalità essenziale e la schiettezza formale, bisognerà aspettare l’Ottocento per parlare di una vera e propria “moda etrusca”, quando intellettuali, viaggiatori, archeologi e collezionisti, fra cui molti anglosassoni, danno vita a una serie di pubblicazioni e illustrazioni che documentano e rendono accessibile a un numero crescente di appassionati un patrimonio di sculture tombali oggi in buona parte scomparso.
Dalla fine del XIX secolo vengono predisposti anche i primi repertori fotografici, fra cui il fondo Moscioni, confluito poi nei Musei Vaticani, e le raccolte dei fratelli Alinari e Brogi: si tratta di un archivio visivo inestimabile, al quale si sommano presto importanti ritrovamenti archeologici, primo fra tutti quello di Giulio Quirino Giglioli che in piena guerra mondiale, il 19 maggio 1916, porta alla luce l’Apollo di Veio, terracotta policroma considerata uno dei capolavori dell’arte etrusca.
La passione per l’etrusco si nutre tuttavia di istanze talmente diverse da divenire opposte: da un lato c’è l’Etruria degli studiosi, dall’altro c’è l’Etruria dei letterati e degli artisti, quella evocata, immaginata, tanto favolosa quanto irrecuperabile.
È questa la patria di Enrico Prampolini, che presta la sua matita d’avanguardista per una rivista a tema; di Arturo Martini, Massimo Campigli e Marino Marini che, ognuno con accenti propri, arrivano a rivendicare un’autentica discendenza diretta; di artisti apparentemente lontani da quel mondo, come il francese Edgar Degas e l’inglese Henry Moore; di figure che battono territori considerati marginali come quello della ceramica, quali Gio Ponti e Roberto Sebastián Matta.
Immergendosi nella tradizione, gli artisti contemporanei la fagocitano e la reinventano: nelle loro mani e grazie al loro sguardo l’arte etrusca subisce altrettante radicali metamorfosi quante sono le personalità che le si avvicinano.
Le ricerche archeologiche e le poetiche d’avanguardia approdano quasi simultaneamente allo stesso risultato: la rottura del centrismo greco-romano e la riscoperta di linguaggi figurativi estranei a quella matrice, ovvero le culture extra-europee e quelle, appunto, mediterranee-arcaiche.
Gli etruschi si ritrovano così misteriosamente apparentati con cinesi e africani, con pittori di ex voto naïf e con umili, anonimi vasai: tutti complici necessari che hanno permesso agli artisti di rivisitare e riscrivere il passato secondo la propria personale sensibilità.
Martina Corgnati, storica dell’arte e curatrice, è docente di Storia dell’arte presso l’Accademia di Brera a Milano. Si è occupata in particolare di arte femminile e del periodo tra le avanguardie storiche e gli anni sessanta, oltre che di ricerche contemporanee nell’ambito del Mediterraneo.
Tra le sue pubblicazioni, L’opera replicante. La strategia dei simulacri nell’arte contemporanea (2009), I quadri che ci guardano. Opere in dialogo (2011), Impressioniste (2018). Con Johan & Levi ha già pubblicato Meret Oppenheim. Afferrare la vita per la coda (2014).
Ingresso libero. L’ingresso non consente l’accesso al percorso museale.
INFO:
Museo Novecento, piazza Santa Maria Novella 10, 50123 FI