Omicidio Desirée: noi più deboli delle sue debolezze

C’è chi denuncia il silenzio dei media, chi sottolinea l’assenza di manifestazioni di condanna, chi motiva tutto questo col fatto che i presunti aggressori e assassini possano essere degli immigrati. Sui social lo sdegno, le accuse e gli sfoghi corrono sul filo della questione ‘straniero’. Mentre nei Palazzi il duello è politico con Salvini che porta la ruspa mediatica davanti ai cancelli dell’immobile abbandonato dove è stata uccisa Desirée e la Raggi che convoca il vertice in Prefettura.

In strada intanto sono degrado, abbandono, insicurezza, ancora una volta, le parole che emergono dalle voci di chi abita in quella zona di Roma e che da tempo denuncia una quotidianità fatta di paura e illegalità.

Personalmente provo un grande squallore. La morte barbara di una giovane. Sola, sbandata, non cosciente dei pericoli a cui poteva andare in contro o del valore della sua stessa esistenza. Questo dovrebbe essere uno degli aspetti che più di ogni altro andrebbero analizzati invece di ‘socializzare’ il proprio disprezzo verso “questi che vengono qui solo a spacciare e violentare”. Come se gli italiani nelle loro linde mura di casa o dai loro commercialisti di fiducia fossero tutti brava gente.

Che vi sia una sacca di marginalità e criminalità nel luogo dove Desirée è stata ammazzata non v’è dubbio. Che la politica, l’amministrazione, debba intervenire e mettere i cittadini nelle condizioni di vivere in sicurezza è altrettanto sacrosanto.

Ma sicurezza significa anche creare quei presupposti per cui una minorenne che già risultava in cura con psicofarmaci non debba trovarsi nella condizione di essere condizionabile, manipolabile, influenzabile e vittima oltre che di se stessa anche di altre persone. Leggere che sarebbe uscita di casa, di sera, a sedici anni dicendo ‘vado a dormire da un’amica’. Non è a mio avviso una situazione concepibile né nel contesto innanzitutto domestico (mi domando come abbiano potuto lasciarla andare con una generica affermazione del genere) né nel contesto sociale. E qui tornano in ballo quei servizi sanitari e non, che troppo spesso non forniscono una continuità adeguata nell’affrontare il disagio psicologico, le dipendenze in cui sempre più giovanissimi cadono finendo per essere doppiamente vulnerabili e bisognosi di protezione dagli altri e da se stessi.

Non importa se con lei vi fossero altre ragazze, non importa se i suoi carnefici fossero italiani o stranieri, se fosse uno o un branco, se il testimone fosse italiano o senegalese, se fosse drogata o meno, se fosse andata a riprendere il suo tablet o altro.

Desirée era sola con se stessa. Sola nel mondo delle sue debolezze e la società tutta è stata più debole di lei. Un lassismo della coscienza civica, una latitanza della cosa pubblica. Perché Desirée era un patrimonio pubblico. Un bene da tutelare e a cui fornire strumenti per recuperare il proprio valore umano. Universale.

Poi ognuno punterà il dito, sul computer, in strada oppure al microfono, fomenterà odio e rabbia, ma le strade sicure le fanno non solo le donne che le attraversano, ma anche le donne che non sono sole, con se stesse e nel mondo.

Chiara Brilli

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