Firenze, il 31 di agosto si è concluso 𝗜𝗻𝗱𝗶𝗮𝗻 𝗡𝗮𝘁𝗶𝗼𝗻 2023, un viaggio organizzato dal Controradio Club, attraverso cinque stati del south-west degli Stati Uniti.
Il viaggio 𝗜𝗻𝗱𝗶𝗮𝗻 𝗡𝗮𝘁𝗶𝗼𝗻, ha attraversato Nevada, Colorado, New Mexico, Utah ed Arizona, visitando parchi nazionali di incredibile bellezza come Canyonland, Arches, Mesa Verde e città come Durango e Santa Fe, viaggio nelle terre dei Navajos nelle quali si intrecciano storie e leggende dell’epopea del west, dalle tragedie inflitte ai nativi americani ai miti dei western hoolywoodiani. Un viaggio guidato da Gimmy Tranquillo di Controradio.
Durante Indian Nation 2023 alcuni viaggiatori hanno voluto lasciare una lro testimonianza scrivendo delle note che sono state raccolte in questo articolo, note utilissime a chi vorrà andare a visitare queste terre magari con un prossimo viaggio del Controradio club.
Note di Viaggio di Marina Capponi
Ieri prima tappa di avvicinamento alle Indians nations, le terre dei nativi americani, con CONTRORADIO ADVENTURES . Las Vegas, Nevada, sin city, la città del peccato, che non dorme mai. Di giorno incute francamente un po’ di tristezza, con la grandiosità trash e trasandata dei suoi enormi alberghi-casino a tema. La notte le luci la trasformano nel grande luna park per adulti delle immagini cinematografiche che tutti conosciamo. Stanza molto vintage, odore di fumo freddo e vecchia moquette, letto assai confortevole, veduta su una gigantesca sfinge con obelisco: dormiamo al Luxor, un’enorme piramide dorata arredata da geroglifici e divinità, circondate dagli dèi locali, le immancabili slot machines. Dopo 13 ore di volo e 9 fusi orari non siamo nello stato d’animo per apprezzare pienamente neanche il Bellagio, davvero il più sontuoso, con lago, giardini finti all’italiana, chilometriche limousine. E tantomeno la cena, una zuppa al pomodoro per la bellezza di 21 dollari! Dubito che sarà un viaggio rimarchevole sotto il profilo gastronomico…ed ora si parte per lo Utah, lago Powell e poi Arizona. A domani!
Secondo giorno del viaggio verso le terre dei nativi americani con CONTRORADIO ADVENTURES e Gimmy Tranquillo. Ci lasciamo alle spalle il Nevada e Las Vegas, dove vige la regola esistenziale che ciò che ivi succede, lì rimane ed ogni sregolatezza è perdonata. Il che è una interessante filosofia. Sulla Highway incontriamo giganteschi cartelloni pubblicitari dove avvocati fighissimi offrono le loro prestazioni con claim strepitosi come “born to win”. Sto pensando di inserire qualcosa del genere nella mia carta da lettere… oggi è un giorno di trasferimento, verso il parco nazionale Arches, ma cammin facendo attraversiamo più volte Utah ed Arizona ed i loro diversi fusi orari. I panorami sono mozzafiato, la storia della terra stratificata e raccontata attraverso formazioni rocciose a colori sovrapposti.

Quarto giorno davvero on the road in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES e la guida di Gimmy Tranquillo. Il nostro autista Louis ci conduce sereni, macinando miglia e miglia con serafica ed orientale sicurezza.
Sesto giorno nelle terre dei nativi, le Indian Nation con @CONTRORADIO ADVENTURES.
Settima intensa giornata di viaggio in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES .
Ottavo giorno del viaggio in Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Prima di lasciare il New Mexico per tornare in Arizona, ci fermiamo ad Albuquerque, ammirando nella Old Town Plaza la settecentesca chiesa di S. Filippo Neri e le sue due torri in stile coloniale. Ma il momento più emozionante è la visita del sito abitato dagli Acoma Pueblo, la Sky City, un insediamento arroccato su una ripidissima e spettacolare Mesa in mezzo al deserto, una cittadella quasi inaccessibile che galleggia nel cielo terso. Gli Acoma Pueblo sono una popolazione molto resiliente, che tutt’ora abita i Pueblo costruiti in adobe e ne ha una cura ammirevole, nonostante le difficoltà, prima fra tutte la mancanza d’acqua, che viene ancora raccolta dopo le rare piogge in cavità della roccia, purtroppo inquinate da un’alga dispettosa. Si tratta di uno degli insediamenti più antichi del Nord America, la cui storia, tramandata oralmente, nella quale si mescolano inestricabilmente cronaca e leggenda, ha avuto momenti tragici alla fine del 1500, quando i Conquistadores spagnoli, nella spasmodica ricerca dell’Eldorado, hanno commesso ignobili efferatezze nei confronti dei pacifici Pueblos, uccidendo, mutilando e deportando la popolazione, uomini donne e bambini. Ed i missionari non sono stati da meno in quanto a sadismo, costringendo gli acomani a trasportare enormi tronchi per le travi del tetto della chiesa dedicata a S Esteban del Rey, dalle lontane montagne, senza che il legname potesse mai toccare terra. Gli Acoma Pueblo oggi gestiscono il sito ed il museo, preservando con cura ed orgoglio la loro storia e la loro antica cultura. E amministrano anche il redditizio Casinò di Sky City, in deroga alle restrittive disposizioni statali che vietano le case da gioco.
Nona giornata nelle Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Siamo nuovamente avvolti dai colori contrastanti dell’Arizona, nel cuore del territorio Navajo, con la capitale, Window Rock, che prende il nome da una spettacolare apertura circolare nella montagna, un tempo teatro di cerimonie per la presenza di una sorgente, ora inaridita, che ospita le istituzioni di governo della comunità. Un intrico di Canyon, fra i più belli visti finora. Il labirintico Canyon de Chelly (che in lingua navajo si pronuncia shein), il Canyon del Muerto, le torri gemelle di Spider Rock, dove secondo la leggenda vive la Spider Woman, la donna-ragno, uno dei miti fondativo della cultura dei Dinè, che insegnò loro la tessitura. Una figura mitologica benevola, ma anche severa e crudele, perché rapisce i bimbi cattivi portandoli in cima al suo rifugio inaccessibile, dove per i Navajo tutt’ora biancheggiano i loro ossicini…
Undicesima giornata del bellissimo viaggio in Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Percorriamo la storica Route 66, la più letteraria e cinematografica delle strade americane, aperta nel 1926, che originariamente collegava Chicago a Los Angeles snodandosi per oltre 3.700 km. Oggi la originaria, fascinosa strada sopravvive solo nelle pagine di Furore di Steinbeck e, meno nobilmente, nei cartoni animati di Cars, poiché buona parte del percorso è stato sostituito ed in alcuni tratti sovrapposto dalla molto meno pittoresca Interstate 40. Alcuni paesi nati lungo il suo tracciato sono rimasti tagliati fuori dal principale traffico commerciale, diventando luoghi della memoria e sopravvivendo solo grazie al turismo nostalgico a caccia di suggestioni di un passato tutto sommato recente per le nostre abitudini. Come noi del resto, che ci fermiamo a Seligman e saccheggiamo a mani basse il Barber shop del mitico ed intraprendente Angel Delgadillo, oggi ultranovantenne, che per anni con la moglie Wilma ha gestito l’elegante salone di barbiere, uno dei primi insediamento commerciali lungo la Historical Route, oggi mandato avanti con affettuosa cura dalle simpatiche figlie. Sarà, ma il mito di questa America di negozietti pieni di souvenir tutti eguali e di bar malinconici e semideserti alla Hopper non mi prende, mi sembra triste e fasulla, come il cartonato di Angel ed il pupazzo di Elvis, in compagnia dei quali ci sembra doveroso farci fotografare.
Dodicesimo ed ultimo giorno di permanenza in Usa nel viaggio Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. La vacanza volge al termine, dove tutto è cominciato, Las Vegas, che da luogo verde e ameno (il nome in spagnolo, pensate un po,’ significa i prati) è diventato sinonimo di “divertimentificio”, un gigantesco luna park per adulti rimasti eterni bambinoni, con tanti denari da spendere. Tutto è gigantesco e caricaturale, dai gondolieri che navigano a motore su un finto Grand Canal cantando le arie del Padrino del Venetian, al mini-lago di Como del Bellagio con le sue fontane danzanti, alla minitour Eiffel del Paris. Ed ovunque tavoli da gioco e slot machines, in un frastuono assordante e luci ipnotiche, come quelle della nuova attrazione, la Sphere, ed i suoi milioni di led danzanti, pilotati da un sofisticato sistema computerizzato. Il tour notturno ci rende un’immagine più brillante di Sin City rispetto all’arrivo, di giorno, quando la città del peccato ci e’ apparsa sonnolenta e sdrucita, come una giostra abbandonata. Ma sempre triste ed assurda, in un vortice di ambienti al chiuso, curatissimi in ogni particolare, ma irrimediabilmente fasulli, come il finto cielo azzurro del Venetian, sempre illuminato da un sole artificiale, come in The Truman Show. Più simpatica ed allegramente ruspante è la Las Vegas di Down Town, che visitiamo la mattina, una specie di Galleria milanese in versione americana, con cosplayer, diavolette sexy e negozietti di souvenir. E tanti homeless, che ci fanno pensare alle lancinanti contraddizioni di una società dove si spreca una quantità smodata di energia per luci, aria condizionata a palla e di cibo, in tutti i “mangifici” dove a colazione puoi consumare ciò che vuoi, dalle cozze al cappuccino, mentre un’umanità marginale sopravvive invisibile, con tutti i propri averi indosso, in un caldo opprimente che supera i 40 gradi. Un’ultima visita di “civilization” prima di lasciare il Grande Paese ed imbarcarci sul volo Edelweiss per Zurigo : la Hoover Dam, diga sul Colorado che crea il lago Mead, il primo bacino artificiale degli Usa, costituito negli anni 30, per produrre energia elettrica e rifornire di acqua Arizona e Nevada. Dopo un filmino antiquato e celebrativo, visitiamo le gallerie e le gigantesche turbine, sormontate da un bandierone star & stripes in eguale proporzione. Anche qui, come nel lago Powell, si avverte evidente l’impatto impressionante di queste opere sull’ambiente e le conseguenze del cambiamento climatico: il lago si è abbassato di almeno una ventina di metri, lasciando lontani dalla riva alberghi e ville, nonostante il sacrificio in termini di portata idrica cui viene sottoposto il povero Colorado, il quale non ha più un estuario, perché prima di gettarsi nel golfo della California come in origine si perde nelle sabbie e finisce nel nulla. Con buona pace delle specie vegetali e animali particolarissime che vivevano in quell’ ambiente acquatico, come il minuscolo Elf Owl, il gufo elfo ed altri delicati animaletti, ovviamente oggi molto ma molto protetti perché in estinzione… che paese pieno di contraddizioni, che non ha nemmeno firmato l’accordo internazionale Onu sul climate change di New York…Note di viaggio di Paolo Marini
In partenza. L’app accuWeather è irremovibile: a Las Vegas è prevista pioggia. E nemmeno poca. Anzi, sempre secondo la diabolica app, in questo momento sta già piovendo! Con le temperature precipitate giù di dieci gradi. Sono senza parole. Non riesco neppure ad allibire. In realtà è da un po’ di ore che c’era il timore. Sono due giorni che sto consultando compulsivamente svariati bollettini meteo mentre la chat di viaggio trilla in continuazione sull’argomento. Tutti concordano, maledizione! Per tale motivo, ieri il bagaglio è stato sottoposto a severa revisione con l’ingresso di un leggiadro ombrellino pieghevole arancione. Il cappello impermeabile, quello no. È una questione di dignità. Al massimo una giacca leggera.
E mica pioverà in eterno. E che deserto è sennò? Intanto, però, l’edizione online del Los Angeles Time annuncia trionfante l’imminente approdo sulle coste californiane dell’uragano Hillary. Questo spiega le piogge nei territori limitrofi.
Ma la California, penso, non è nella fascia degli uragani. Leggo infatti che si tratterebbe di un fenomeno eccezionale. Ma come, proprio ora che sto arrivando? Ed ecco quindi che, piano piano, lemme lemme, il fantozziano dubbio della nuvola dell’impiegato si insinua subdolo, ma non riesce a scalfire l’emozione della partenza. Nemmeno ci riesce l’esasperante lentezza dell’addetta al check in di Peretola che mi tempesta di domande (indirizzo in USA, telefono…). Più dura è al bar dove, dopo una lunga coda, mi tocca uno dei peggiori cappuccini della mia vita, il cui unico pregio è evidentemente quello di contenere almeno due etti di caffeina, il che mi sveglia come un grillo malgrado i novanta minuti scarsi di sonno. Il viaggio sarà lungo e per dormire ci sarà tempo.
Frattanto si sale sull’aereoplanino-giocattolo che sta per decollare dall’aereoporto-giocattolo di Firenze. Sta per iniziare il trip da viaggio!
Tiro fuori a mo’ di amuleto, un libro. Un giallo di Tony Hillerman, avventure di un poliziotto di sangue navajo in servizio nelle terre dei nativi nel sud-ovest degli Stati Uniti. Terre desertiche appunto. Mica piovose, accidenti!
Ripenso a quelle previsioni meteo e all’ultimo sguardo dato on line con l’immagine dei californiani che si preparano a ricevere Hillary, apro il libro e proseguo la lettura… il polverone scomparve quando il veicolo scese in uno dei labirinti di Arroyo che trasformavano la vallata in un caotico quilt di erosione… e penso che anche se pioverà, il deserto si asciugherà subito e tornerà a mostrare il suo arcigno e affascinante aspetto di sempre. Quindi Hillary rassegnati, a me non fai paura. Ma passa presto.
A Las Vegas by Edelweiss. L’aeroporto di Zurigo è molto grande, affollato, ma ben suddiviso e organizzato. Un luogo razionale, molto svizzero nel suo nitore architettonico. Costellato di spazi commerciali in cui si alternano cioccolaterie elvetiche, Swatch, orologeria di lusso e la solita galassia noiosa di Brand internazionali della moda, è a suo modo un luogo ingannevole. Lo è poiché frequentato in maggioranza da europei. Percorrendo i suoi lunghi corridoi bordati da bar, birrerie, ristoranti, paninerie tutte uguali e tutte piuttosto care, si ha l’impressione che quella folla di “bianchi” sia ancora una cospicua quota degli abitanti di questo pianeta e non una sempre più piccola seppur privilegiata, minoranza, all’interno della quale io e i miei compagni di viaggio ci imbarchiamo su un Airbus 340-400 rosso e bianco, accolti da gentili hostess in divisa rossa e bianca. La compagnia si chiama Edelweiss ed è quindi la quintessenza della svizzeraggine. Però tale prerogativa si ferma qui. Appena posizionati per partire, il comandante comunica che c’è un problema col software di navigazione. Ci sarà da aspettare. Quanto non si sa. Restiamo seduti. Il problema è che siamo senza aria condizionata e fa un caldo terribile. Come se non bastasse l’aereo torna al gate. Deve svuotare il serbatoio e poi riempirlo nuovamente. Operazione che compie brillantemente. Ce ne accorgiamo perché torna l’aria condizionata. La relazione fra le due cose resta misteriosa. Finalmente si parte, ma con più di novanta minuti di ritardo. Il viaggio durerà oltre 12 ore, passando sopra il sud della Groenlandia, la baia di Hudson, il Manitoba e le montagne rocciose.
Going to Utah. La hall del Luxor hotel è gigantesca. La incornicia da un lato la lunga fila di banconi scuri delle receptions alle cui spalle enormi schermi led trasmettono spezzoni di musica, balletti e spettacoli. Il grande spazio vuoto centrale, sempre molto affollato, termina con una scala che sale ai ristoranti mentre da un lato prosegue, espandendosi nella sala da gioco. Nella hall non c’è neppure una sedia, chi vuol sedere deve farlo ai tavoli delle slot. Tavoli che alle 8 di mattina sono già frequentati. Ad uno di essi siede un cinquantenne dal fisico pesante. Porta una camicia a fiori che trattiene a stento la pancia. Ha i pantaloni corti e le scarpe di tela. Degli occhi non distinguo il colore, ma ne percepisco la precoce stanchezza, certo non attenuata dal caffè contenuto in un bicchierone che tiene in una mano mentre l’altra aziona la slot. Salgo su al Pyramid restaurant, dove l’odore del bacon dà un tocco di normalità a un luogo surreale. Colazione americana e si parte!
Sorrisi a Kanab. Utah, Page, Hotel Courtyard, breakfast room. Mattina del 22 agosto ore 7:45. In sala non c’è molta gente anche se sta arrivando l’avanguardia di una nutrita comitiva cinese sbarcata la sera prima. Fra i tavoli si muovono giovani camerieri e cameriere, gentilissimi. Hanno capelli corvini, bei visi un po’ orientali dai tratti marcati, tipici dei nativi. Infatti, sono tutti Navajos o Diné, come si definiscono nella loro complicatissima lingua non scritta. Malgrado siano vestiti di nero che notoriamente sfina, colpisce la notevole obesità di tutti, frutto avvelenato di un mix micidiale fatto di genetica, abitudini alimentari sbagliate, sovente alcolismo e attività fisica prossima allo zero. Col risultato di essere ai primissimi posti per esigenze sociosanitarie quali diabete, cardiopatie ecc. Loro non sembrano curarsene e nel frattempo dispensano sorrisi mentre gustiamo un’ottima colazione in questo bell’albergo in stile ibrido, ispirato alle costruzioni locali in adobe. Ci siamo arrivati ieri sera dopo una lunga giornata terminata con le immagini del Lake Powell con la straordinaria diga del Glen Canyon, le cui pareti hanno, a detta di chi ci è stato, la stessa tonalità rosso intenso del Grand Canyon. La strada per arrivare lì parte dalla piccola località di Kanab. È un tratto caratterizzato da rocce multicolori imponenti, fatte a striature orizzontali che vanno dall’ocra al rosso, rese lucide dalla pioggia che oggi non intende proprio abbandonarci. Il paesaggio è veramente grandioso e descriverlo o anche fotografarlo non rende minimamente l’idea della bellezza di questi luoghi. Il prodigio geologico di queste terre meriterebbe ben altre penna e competenza. Prima di Kanab, ad esempio, si incontrano quelle che qui chiamano “Frosted Rocks” che si può tradurre con rocce glassate. Sottili strati di roccia multicolore a loro volta sollevati, curvati a formare ondulazioni scanalate dagli effetti sorprendenti. Sono come un millefoglie gigante cui una mano ciclopica avesse imposto una rotazione degli strati che appaiono squadernati, ma non sovvertiti, tempestosi, ma non agitati.
Verso Moab. Il pullman viaggia spedito. Siamo in territorio Navajo, la cui presenza è rivelata da modeste isolate costruzioni ottagonali in legno, eredi degli Hogan, le antiche “case” oggi usate solo come luoghi di culto. Immancabile il pickup a fianco, spesso più d’uno oltre a qualche vecchia carcassa di automobile.
Arco & Arcobaleno. Louis, il nostro autista, scartabella frenetico tra i documenti di viaggio. Siamo al casotto d’ingresso a Arches National Park, ma non ci fanno passare. Finalmente Louis il documento giusto lo trova. Fa un urletto di gioia e corre a darlo al ranger. Possiamo ripartire. Il tempo è incerto. Minaccia pioggia. La strada s’inerpica in poderose curve. Il paesaggio, già bello, diventa indescrivibile. Come colossali guardiani di pietra, enormi torrioni rossi ci danno il benvenuto. Anche la pioggia ci battezza, iniziando a cadere. Ma oggi non ci fermerà nessuno.
Across the Rocky Mountains. Supermarket di Moab. Io e tre utenti perplessi discettiamo su alcuni pezzi di formaggio sigillati, messi in un cesto vicino all’ingresso. Guarda che roba! Cosa? Ma non lo vedi cosa c’è scritto? Reggiano, e allora? Ma come allora? È finto, guarda il marchio sulla crosta! Dai…è vero. Viene dal Wisconsin…che bastardi! Stabilita la falsa origine del parmigiano, il gruppo giudicante si scioglie e io mi rimetto in cerca di qualcosa da mangiare per dopo. Frutta in particolare che di carne non se ne può proprio più. Non rinuncio, però, al tradizionale tour degli scaffali, scoprendo gli imperdibili spaghetti marca American Beauty. Siamo in ritardo. Due parchi in programma con ancora negli occhi la bellezza di the Arches. Mi domando se saranno all’altezza. All’altezza lo è senz’altro la strada che porta al primo: il Canyonland National Park. Dopo una serie di curve si arriva a un altopiano. Canyonland è immenso. Posto a circa 2000 metri slm, è uno dei più selvaggi. Ne cibo né acqua sono reperibili al suo interno.
Waiting for Clint. Immaginiamo un tardo pomeriggio d’agosto nella foresta di San Juan, Colorado, dove un manipolo di turisti italiani si trova in pullman in fondo alla discesa dai 3240 m del Coal Mine Pass. E piove a catinelle e fa pure freddo. Immaginiamo poi che i nostri eroi abbiano fame. In un territorio dove i ristoranti dei villaggi chiudono in genere tra le 18 e le 20. E ora sono già le 19. E che gli umani stanziali più vicini siano i 640 abitanti di Silverton, vecchio insediamento minerario oramai a pochi chilometri e 2840 mt di altitudine.
Mesa… delusione. Graziosa è Durango, cittadina turistica immersa nel verde delle Rocky Mountains, punto di partenza per svariate destinazioni, compresa Mesa Verde, meta odierna.
Ma oggi i suoi abitanti latinos si son ripresi la piazza. Peraltro, sono almeno la metà della popolazione e qui lo spagnolo lo parlano tutti. Le danze proseguiranno chissà per quanto. Adesso tocca a ragazze di età intermedia. Il Mariachi suona e canta che è un piacere, ma è il momento di andare via.
Next stop in Albuquerque. La città delle mongolfiere di cui a settembre c’è il festival più importante del mondo. Anche la città della bomba atomica perché Los Alamos è a quattro passi da qui. Anche luogo dove Bill Gates e Paul Allen fondarono Microsoft. Anche luogo dove sono entrato per la prima volta al Twin Peaks, tipico bar sport di una catena molto diffusa in tutti gli States. Si mangia e si vedono le partite. In realtà si mangia in un clima distopico sotto 12 grandi schermi TV che trasmettono 6 programmi differenti, ma il sonoro ce l’ha uno solo. Tavoloni con sedie alte e un bancone tipo moderno saloon sono occupati prevalentemente da uomini. A correre fra gli avventori, vestite con camicetta annodata al seno, mini-shorts in jeans e stivaletti bianchi bordati di finta pelliccia, ragazzine di piccolissima statura e, apparentemente, giovanissima età. Molto brave e forzute prendono ordinazioni a raffica e con grande disinvoltura portano grandi vassoi ed enormi boccali di birra. Sorridono e corrono. Nel frastuono del locale sono ciò che è più silenzioso. Ma resta la sensazione che i criteri di arruolamento non siano attitudinali, ma piuttosto, come dire: organolettici. Ovvero bell’aspetto e, soprattutto decolté generoso e idoneità a indossare quella tenuta da cheerleader già ridicola ai rodeos. E a me i rodeos non piacciono.
Resilienza. Ad Albuquerque non c’è nulla da vedere. Questa è l’idea che mi ero fatto. E quindi mai mi sarei aspettato di vedere una strepitosa Buick anni ’50, 4700 cc di cilindrata, parcheggiata nella Plaza Vieja, giusto di fronte alla chiesa di San Filippo Neri.
Navajoland. A Gallup, per molti anni importante location di tanti western, il New Mexico cede il passo all’Arizona. All’Alfredson’s foodstore di Gallup finisce la vendita degli alcolici per iniziare la zona alcolfree della nazione Navajo.
Take It Easy. Lasciare Chinle significa lasciare Canyon De Chelly, posto che vorresti percorrere per ogni dove per giorni e giorni.I video di Gimmy Tranquillo