Ven 19 Apr 2024

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Disco della Settimana: Robert Finley

Un po’ come Charles Bradley: grande talento, un po’ di sfortuna, poi arriva un giovane produttore a costruire la giusta cornice. Per Robert Finley è stato Dan Auerbach dei Black Keys l’artefice della rinascita.

Goin’ Platinum! è il suo secondo album, uscito su Easy Eye Sound, etichetta creata da Dan Auerbach dei Black Keys, il primo dell’etichetta a essere pubblicato e distribuito da Nonesuch Records / Warner Music Group.
L’album cattura il cantante al suo meglio, attorniato da storici musicisti di altissimo livello a fare da supporto alla sua voce particolare. Tra coloro che hanno collaborato alla realizzazione sonora di questo disco il batterista Gene Chrisman (già con Elvis Presley e Aretha Franklin), il tastierista Bobby Woods (JJ Cale, Bobby Womack), i trombettisti della Preservation Hall e il leggendario chitarrista Duane Eddy.
Goin’ Platinum! è stato scritto e prodotto insieme a Dan Auerbach e vede anche la collaborazione di cantautori leggendari quali John Prine, Nick Lowe e Pat McLaughlin. File under “retromania”.

Così ne parla Leo Giovannini su Loudd:

Paradigmatico il disco che vi propongo oggi.
La sua genesi è la classica storia americana: il personaggio di cui parleremo, Robert Finley, ma potrebbe essere chiunque, ad 11 anni riceve dal padre (famiglia non agiata, della Louisiana, of course) i soldi per comprarsi un paio di scarpe, ma Robert, già appassionatissimo di musica, userà quei soldi per comprarsi una chitarra.
All’età di 17 anni si arruolerà nell’esercito verrà mandato di stanza in Germania, dove metterà a frutto la sua passione per la musica formando una band e allietando i suoi commilitoni. Finita la ferma e tornato in patria andrà di casa discografica in casa discografica a cercare uno straccio di contratto, cosa che gli sarà negata. Troverà impiego come muratore e in altri lavori manuali ma continuerà ad esibirsi come cantante in quei locali da panze gonfie di birra e costine di maiale.
Un peccato, perché Finley la voce ce l’ha e pure bella, ma capite bene che nel 1967 o giù di lì la musica black era tutto un fiorire di artisti superlativi e quindi era anche molto facile beccarsi una porta in faccia.
Arrivati ad oggi il nostro buon Robert viene scoperto da Dan Auerbach dei Black Keys che fulminato come San Paolo sulla via di Damasco, si innamora della voce di Finley, lo mette sotto contratto e nell’anno di grazia 2017, all’età di 70 anni e dintorni, il cantante della Louisiana ha il suo posto al sole in forma di disco (vinile, cd, mp3, streaming e bla bla bla).
Che poi “Goin’ Platinum!” è davvero un signor disco, dove soul e blues la fanno da padrone: ben cantato, ben suonato e, qui casca l’asino, ben registrato, anzi, registrato e prodotto come se fosse uscito cinquant’anni fa.
E vince facile, come detto: nella penuria di prodotti black che si ammantano di una finta avanguardia, cosa c’è di meglio che tornare ai “good ol’ days”, intorno ad un braciere acceso che cuoce bistecche t-bone, salsicce di fegato, pannocchie di mais , il tutto annaffiato da boccali di birra ?

Così lo accoglie Enzo Curelli sul suo blog:
A volte abbiamo bisogno delle favole per andare avanti e credere ancora in qualcosa. La musica non è esente, se ben setacciata, anzi, ne è fucina inesauribile. La storia di Robert Finley non è che una delle ultime favole a lieto fine infarcita di verità e leggende, ricordando da vicino quella di Seasick Steve: un giovane della Louisiana, che a diciannove anni nel 1974 lascia i campi di cotone a Bernice e si arruola nell’esercito americano, unico modo sicuro per poter aiutare economicamente la madre. Con l’esercito arriva in una base americana in Germania e proprio in Europa, in mezzo al dovere (chiamiamolo così) ha modo di sviluppare la sua grande passione per la musica con la band dell’esercito: cresciuto a pane e gospel (a undici anni si comprò la prima chitarra con i soldi che il padre gli diede per un nuovo paio di scarpe), con James Brown, B.B. King e i Temptations in testa. Tornato in Usa dopo il duro lavoro da carpentiere capisce che la sua vera strada è la musica. La strada è però dura e in salita. Fino a due anni fa girava vie secondarie e piccoli locali mentre ora a 64 anni si trova a registrare un disco insieme a Gene Chrisman (Elvis Presley band) e a mostri sacri come Duane Eddy (suo il solo di chitarra in ‘You Don’t Have To Do Right’), Bobby Woods e la Preservation Hall. Arriva alla musica che conta con GOIN’ PLATINUM! (dopo l’esordio Age Don’t Mean a Thing del 2016), il primo disco a uscire per la nuova etichetta di Dan Auberbach, Easy Eye Sound. Già è proprio “prezzemolo” Auberbach a prendere questo vecchio bluesman sotto la sua ala protettrice, invitarlo nel suo mondo, lo stesso che gravitava intorno al suo ultimo album solista (le canzoni sono scritte da lui, John Prine, Nick Love, Pat McLaughlin) e a fargli fare il grande salto. “Ho capito le capacità di Robert di andare oltre le canzoni blues. È un grande chitarrista blues, ma se posa la chitarra e si mette davanti ad una orchestra può diventare come Ray Charles.” Così lo presenta Aurbach. Black Keys meets blues singer, quello che ne esce è un magnetico incrocio tra R&B, swamp blues (‘Three Jumpers’) retro soul di casa Nashville e il suo è nome Robert Finley (provate il suo falsetto in ‘Holy Wine’). Lui è un personaggio, il disco senza un’età apparente è da ascoltare per la varietà stilistiche con cui è stato assemblato. L’ultimo colpo di questo 2017.

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