Gio 28 Mar 2024

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“Appuntamento al buio” alla Pergola: girotondo di destini firmato Andrèe Ruth Shammah

Da martedì 10 a domenica 15 aprile Andrée Ruth Shammah dirige al Teatro della Pergola di Firenze la novità assoluta per l’Italia “Cita a ciegas” (Appuntamento al buio): un sorprendente girotondo di destini interpretato da Gioele Dix, Laura Marinoni, Elia Schilton, Sara Bertelà, Roberta Lanave.

“Cita a Ciegas (Appuntamento al buio) è un thriller appassionante – afferma la regista – un avvincente intreccio di incontri apparentemente casuali dove violenza, inquietudine e comicità serpeggiano dentro rapporti d’amore. E’ il testo di Mario Diament più rappresentato nel mondo: è stato per cinque anni in cartellone a Buenos Aires e in molti teatri in Sud America e negli Stati Uniti; in Europa è stato rappresentato a Parigi, Stoccolma e in Ungheria”.

Un uomo cieco, Gioele Dix, è seduto su una panchina di un parco a Buenos Aires. È un famoso scrittore, ispirato a Jorge Luis Borges, che era solito godersi l’aria mattutina; è a lui infatti che è ispirato il personaggio di Gioele che, insieme a Laura Marinoni (la Donna), Elia Schilton (l’Uomo), Sara Bertelà (la Psicologa), Roberta Lanave (la Ragazza), dà vita a uno spettacolo che svela il gioco del destino che gioca sempre allo stesso gioco. Quella mattina la meditazione dell’uomo cieco viene interrotta da un passante: da qui una serie di incontri e dialoghi svelano legami tra i personaggi sempre più inquietanti, misteriosi e a tratti inaspettatamente divertenti.

E’ stato un vero e proprio colpo di fulmine per la regista Andrée Ruth Shammah: Diament è uno scrittore interculturale, un emigrato e un esule che scrive della e sull’Argentina, l’identità e l’isolamento: “Cita a ciegas è un testo che richiede di andare dentro la vita – dice Andrée Ruth Shammah – l’abilità sta nel trasformare tutte quelle cose che non sono visibili, tangibili, che non hanno corpo, come i pensieri, le intenzioni del personaggio, in qualcosa di concreto, riconoscibile nei corpi, nell’intonazione. Bisognava trovare il modo di rivelare tutto quello che non si dice. Lo scrittore cieco, in cui è facile riconoscere il celebre Borges, parla delle realtà parallele, dei due mondi, fa teoria, ma parla di sé, della sua realtà. Quando non vedi, vedi altre cose, dunque c’è un’altra realtà e lui la abita nella sua cecità, che lo rende intuitivo”.

“Non bastava tradurre il testo dall’inglese – interviene ancora la regista – ho confrontato le varie versioni rappresentate nel mondo, le varie traduzioni in diverse lingue e poi ho rimesso insieme i pezzi. Cita a ciegas è stato ra

ppresentato ovunque. Mario Diament, che io amo chiamare “Diamante Diabolico”, ha costruito questa storia con un rigore assoluto, in un insieme di rimandi, coincidenze. Costruisce un meccanismo perfetto, un mondo che prende forma al di là delle parole, della pagina. Volevo sottolineare questa capacità del testo di andare dentro la vita e oltre la realtà”.

In scena c’è una panchina e di fronte a essa, dove il tempo determina giorni e stagioni, frammenti di vita. Lì è seduto il Cieco, il testimone attorno al quale la regia spinge da subito i personaggi che si raccontano attratti dal suo silenzio; lui, lo scrittore, che presta il suo corpo cieco all’avvicendarsi di racconti che denunciano lo stesso irrinunciabile desiderio. Panchina e testimone sono una sola cosa. Quello che deve succedere viene svelato come se non succedesse nulla oltre ai pensieri che si pensano. L’atmosfera è quella di una lunga meditazione. Andrée Ruth Shammah, oltre alla regia, ha curato anche la traduzione e l’adattamento.

Tutto può accadere dietro alle apparenze e nulla ha veramente importanza. Dare vita a cose destinate a essere buttate via, popolare un mondo fatto di pensieri che si ripetono. Fino a che il muro dietro alla panchina si apre come un libro: la panchina si sdoppia in un interno dove due donne si affrontano, tra verità e finzione accennate. La traduzione dallo spagnolo è di Maddalena Cazzaniga, le scene sono di Gian Maurizio Fercioni, i costumi di Nicoletta Ceccolini, le luci di Camilla Piccioni, le musiche di Michele Tadini.

“Per certi versi – riflette la regista – questa storia è anche, insieme, un elogio e un monito alla potenza dell’immaginazione che ci può portare altrove, in mondi paralleli, ma bisogna stare attenti a dove ci lasciamo condurre. Per questo, il muro alle loro spalle si apre e si richiude proprio come fosse un libro. Come se fosse il confine tra l’immaginazione e la realtà, quella realtà da cui un po’ tutti i personaggi tentano di fuggire e che può metaforicamente schiacciarli, richiudendosi”.

Siamo di fronte a una messinscena che non ha segreti da celare: lascia intuire un profondo, irrinunciabile rispetto per le diversità, rese simili da un destino che le unisce, una ruota che gira senza sosta. Ritorna la panchina, come all’inizio. E ci si domanda se l’uomo sia capace di arrivare a se stesso senza dover passare da montagne gelate, percorsi perversi, anni impietosi che annunciano la vecchiaia. Un inno al potere del teatro.

“Lavorare a Cita a ciegas è stata una vera e propria indagine nella psiche umana. Non volevo far vedere – spiega Andrée Ruth Shammah – un unico aspetto dei personaggi, dar loro un solo colore senza mostrarne le sfumature. È per questo che mi sono divertita anche a giocare con i colori dei loro costumi. Un colore esce e ne segue un altro che poi ritorna con una lieve differenza di tonalità. Tutti i personaggi hanno una ferita interiore e le loro azioni, anche le più abiette e pericolose, hanno delle motivazioni profonde, nascono da quella ferita. Ho tentato di dare loro una chance, una possibilità di riscatto”.

“Credo che questa storia sia molto vicina alla nostra esperienza quotidiana. Guardando lo spettacolo, chiunque può sentire in qualche modo che questa vicenda lo riguarda. In molte affermazioni e riflessioni dei personaggi si può intravedere qualcosa di sé, qualcosa in cui riconoscersi”, conclude la regista.

Una produzione Teatro Franco Parenti e Fondazione Teatro della Toscana.

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